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Alessandro Vessella e la sua arte giovanile

 

(in Annuario ASSA 1966, pp. 32-42)

 

del Maestro Enrico Caruso

 

Alessandro Vessella nacque ad Alife, in Provincia di Caserta, il 31 marzo del 1860.

L’epoca in cui Egli visse la sua prima giovinezza, è un’epoca in cui si manifestano, con chiari segni, le tendenze innovatrici della musica europea ed italiana in particolare.

Il Romanticismo di Chopin, caratterizzato dal pessimismo sentimentale, da un’angoscia sottile e diffusa, ha già ceduto al virtuosismo scenico di Liszt, che a sua volta, precorre l’impressionismo colorando e sfumando la musica in una fusione magnifica della psiche con le impressioni immediate della natura.

Un’ansia nuova pervade tutta a seconda metà del XIX secolo: il gusto di vedere le cose come sono ed una reazione agli eccessi dell’idealismo romantico, la negazione di schemi astratti, del fantastico, del sognante. La letteratura si svolge al popolo, ai poveri, agli umili; sente fino in fondo il peso delle umane sofferenze, rifiuta le utopie e cerca il reale. È l’ondata rinnovatrice del “Verismo”, nato sotto l’influenza del realismo narrativo russo, inglese e più particolarmente del naturalismo francese, ispirato al positivismo dominato da Spencer, Comte, Ardigò, Mill.

In letteratura è il momento del Verga, Capuana, Serao ed in Francia del Zola. Nell’arte musicale Verismo significò “ricerca di passione, di vita” per usare una definizione del Saint-Saéns.

La schiera dei moderni musicisti è dotata di una sensibilità che, come è naturale, manifestano in grado diverso perché diversamente influenzati dalla maniera di Berlioz, di Wagner, di Verdi o delle varie scuole europee di cui diremo appresso.

Ricerca del vero, dunque, e modo di esprimerlo e renderlo accogliente all’uditorio.

La scuola Russa, costituita dal famoso gruppo dei cinque (Balakirev, Ciaikowsky, Borodin, Mussorgky, Rimsky-Korsakoff), si impone col suo nuovo modo di comporre: immediato, con freschezza di una sensibilità armonica senza preoccupazioni di regole, un gusto vivo dell’armonia come gioco di colori, non astratti, ma sempre in funzione di lirica ed espressione.

Dalla Russia il movimento innovatore delle correnti musicali europee si sposta in Francia, ove è rappresentato, principalmente dall’opera di Claude Debussy. Contemporaneo dell’impressionistmo del Mallarmé, egli manifesta nell’opera “Pelleas et Melisande” e nei “Préludes” per pianoforte, una reazione alla forma – nel senso della tradizione – rendendo la musica come una serie di emozioni che si traducono in sempre nuove impressioni, in luci ed ombre, associati in urti strani, a volte estranei ai loro elementi armonici.

Accanto a Debussy primeggiano i nomi di Franck e di Bizet che con Carmen inizia il realismo drammatico-musicale francese.

Il Verismo è ormai nel mondo musicale ed il suo primo successo l’ha avuto proprio in Italia, a Milano, col trionfo della stessa Carmen, nel novembre 1881; quella Milano che dodici anni prima aveva fischiato il Mefistofele di Boito, già palesemente orientato verso nuovi ideali. Bizet, dunque, ricerca la verità; Mascagni e Puccini la ricercano; Mussorgky la ricerca. Ma in quanti vari modi essi la presentano! La realtà appare in aspetti diversi. Ma è sempre lo stesso anelito, mentre mutano orizzonti e luci.

In Italia è l’epoca dei grandi Maestri come Sgambati, Busoni, Martucci (nostro conterraneo, nato a Capua, nel 1856). È l’epoca in cui si fa sentire l’influsso delle idee nuove di Wagner, attraverso le opere dello stesso Martucci e del Catalani. È pure l’epoca del trionfo di Verdi, mentre si affacciano alla ribalta nuovi geni come Puccini, Leoncavallo, Giordano, Cilea, Mascagni; tutti contemporanei del nostro Vessella.

E Alessandro Vessella viene fuori da questi movimenti, non perché ne sia stato imitatore e ne abbia risentito l’efficacia, ma per le stesse ragioni per le quali questi movimenti ebbero vita: rinnovare.

Perciò il dono che Natura gli ha concesso d’essere musicista è per Lui quanto mai prezioso, perché inteso come missione: una missione che per esser tale deve sempre tener presente gli altri senza lasciare che il proprio Io offuschi ogni cosa.

Con questi principi Vessela si volgerà, con gli anni, alla Banda come mezzo di efficace espressione di cultura musicale popolare.

La musica ch’altri potrebbe considerare un puro gioco felice di suoni, di forme e di colori, è per Lui una confessione umana, un diario intimo, gioia, dolore.

Studiò presso il Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli, pianoforte e composizione. Voleva essere pianista, ma un crampo alla mano glielo impedì.

Poche opere di composizione (appena 11 e tutte della prima maniera, che si conservano inedite presso il Museo Alifano di Piedimonte d’Alife), sono giunte a noi. Ma, per fortuna, toccano vari stili: dal religioso al profano, dalla sonata per pianoforte al quartetto. Sicché ci è possibile tracciare la figura completa del giovane musicista.

Nella musica di Chiesa, le sue composizioni sono ispirate ad una dolce sensibilità: l’impianto ideale è sobrio, pieno di dignità. Lo stile nobile, e denso di begli accordi tonali.

La melodia cantabile è costruita con un linguaggio estremamente semplice e scorrevole.

Una musica facile, ma profondamente sentita; senza troppo approfondimento tecnico, ma di trascinante umanità.

Le sonate per pianoforte sono caratterizzate da un fresco linguaggio venato di sottili ombre di romantica malinconia.

I suo pezzi sono di differente intonazione e di varia concezione, ma è sempre lo stesso atteggiamento spirituale, la medesima disposizione d’animo.

Egli è un musicista che, nelle Sue composizioni, parla sempre a sé stesso. Vi si nota un continuo raccoglimento interiore: sia il punto di partenza un motivo puramente lirico (vedi la Salve Regina), o più brillante visione pianistica (vedi il Pensiero Melodico).

Vi sono momenti nella Sua musica pianistica in cui appare frequente come un senso di attrazione verso l’orchestra. Spesso Egli rivela la tendenza a sorpassare le risorse strumentali della tastiera (vedi Serenità dell’anima). Questo superamento avverrà, in maniera decisiva, ed in tutta la sua concezione artistica allorquando, abbandonato il pianoforte, andrà decisamente verso la Banda.

Ed eccoci al 1877. Ancora diciassettenne Alessandro Vessella compone il “Pensiero Melodico” per pianoforte, dedicato alla N. D. Giacinta Santasilia, principessa di Piedimonte. È nella tonalità di Mi Magg.

Nella bozza reca ancora qualche correzione del M° Furno (già maestro del Bellini, Mercadante, Petrella, insieme allo Zingarelli ed al Tritto). È una delle prime, se non proprio la prima opera del Vessella ancora allievo di Conservatorio. Ricca di sentimento: un sentimento espresso in termini quasi violenti (impetuoso, ardente) e nello stesso tempo dolci (malinconia, calma). È dominata dalla volontà di trasmettere un messaggio intimo, di servirsi delle forme musicali per dire qualcosa di più, che parli direttamente all’animo dell’ascoltatore trasmettendogli un particolare “stato d’animo”, descrivendogli un intenso paesaggio sentimentale. È una pagina in cui tecnica e fantasia si fondono in mirabile unità.

“Leggermente arpeggiato”, “Cantando”, “Pianissimo” questi i segni d’espressione che si leggono all’inizio del pezzo.

Canta il basso mentre la destra si scioglie di un magnifico arpeggiato (molto leggere, ci indica l’Autore). È un mormorio come di un animo in agitazione, come il fruscio di un venticello tra le fronde a primavera, come al carezza di un dolce sogno giovanile. Poi un “crescendo”, alcuni accordi ed ecco una cadenza che trasporta nella luminosa, quanto improvvisa felicità sonora del secondo tema. È un “divertimento”ora che si inserisce nel canto, mentre questa volta è la sinistra che mirabilmente arpeggia “in seste”. Un dialogo musicale ed uno stile perfetto. È un gioco di sestine sostenuto (con sentimento – ripete l’autore – e piano), ondulante, racchiuso nel giro armonico di una modulazione in DO diesis minore ed il relativo rientro nella tonalità iniziale, che si schiude come una voce tutta ripiegata nella sua intimità canora.

Una profonda emotività, vaghe luci ed ombre di mistero che richiamano l’arte del Debussy.

Queste le caratteristiche fondamentali dell’opera. In essa notiamo un Vessella che padroneggia la tastiera con estrema sicurezza, con una fantasia che spazia libera, ricca, vivace, senz’alcuna timida inibizione. “Quando le idee sono giuste – afferma Beethoven – l’elaborazione non ha alcuna importanza”. Esse infatti, sgorgano facilmente dall’animo del Nostro compositore che non trova difficoltà a fissarle sulla carta, padrone, com’è, della sintassi musicale, di tutti i suoi più raffinati artifizi e della tecnica pianistica.

Incalza la sonata in un “Poco agitato” finché lo sforzo creativo cede ad un ad un abbandono conclusivo, ove il tema ritorna appena accennato e chiude con un accordo isolato fortissimo.

Ad un anno di distanza ecco un altro capolavoro: “Serenità dell’anima” sonata per pianoforte, composta nel 1878 e dedicata alla giovanetta pianista Matilde Antinucci.

Qui appare il diciottenne appassionato e romantico, certamente innamorato. La melodia cela un animo profondamente buono e facile alla commozione. Stupendo l’Andante iniziale che ha il colore tenero e uniforme di un disteso paesaggio campestre.

Semplice, modesto, sobrio, il tema della Sonata si affaccia timidamente nella tonalità di La Maggiore, finché un “affrettando” rompe l’incertezza ed incalza in un crescendo per la gran parte formato da semicrome. Bello, loquace, direi ardito. È il punto culminante del discorso a due. È un dialogare, così come fa il giovanetto allorché dichiara tutto il suo amore alla donna amata.

Lo sviluppo della Sonata ha quasi il compito di portarci lontani dal tema, per poi farci sentire, con più dolcezza, il piacere di ritrovarlo, alla fine, intatto. Ed infatti ritorna; questa volta con un accompagnamento più sciolto e mosso, insistente e deciso, quasi a confermare il pensiero dominante, l’intenzione della sonata e quella più intima del Suo Autore.

Poi l’animo tormentato si acquieta in un pacato finale.

Si sente la soddisfazione di un tal discorso musicale. La calma che segue l’agitazione. È una musica ardente, che si serve delle forme non già per adeguarsi ad esse, ma per piegarle, costringerle quasi violentemente ad esprimere qualcosa di preesistente ad esse; qualcosa che prima ancora di essere musica è stato d’animo, emotività, valore ideale dello spirito.

Tornano, in breve, anche se in forma diversa, gli stessi moventi del “Pensiero Melodico”.

Eccoci al primo accostamento del Maestro alla musica sacra.

È del marzo 1878 la “Salve Regina” per Tenore o Soprano con accompagnamento di Quartetto d’archi. L’opera, conservata nel Museo Civico di Piedimonte, è scritta per canto e organo, né ci è pervenuta alcuna partitura per Quartetto, anche se sul frontespizio è così indicato.

Comunque da alcuni appunti segnati a matita dal Vessella, è chiaro che l’accompagnamento e stato trascritto per Quartetto d’archi. Si legge, infatti, in qualche punto “Violino”, volendo intendere che quella parte doveva essere affidata al violino.

È una delle pagine ricche di commozione religiosa del Vessella giovane e che già anticipa quei modi di più intima confessione che riserverà ad altre pagine religiose come l’Agonia e la Novena di S. Sisto.

Pagina bellissima d’arte che mai vien meno alle particolari esigenze stilistiche della musica sacra. Va rilevato una intima aderenza della melodia alla ritmica del testo e soprattutto al suo spirito.

Una breve introduzione prepara al raccoglimento spirituale, mentre calma inizia la voce, la sua preghiera. Tutto si anima al “Ad Te clamamus” ripetuto più volte supplichevole, implorante, devoto, mentre un arpeggio (che certamente nella riduzione per Quartetto è affidato al violoncello), sta a sottolineare l’agitazione dell’animo orante.

Insiste, ancora, sulla frase “Et Jesu benedictum post hoc exilium ostende”.

Quivi la melodia si intreccia e si alterna in un duetto mirabile con l’accompagnamento (nel Quartetto i violini, così è stato appuntato dal Vessella). Segue un “Agitato” che conclude “O clemens, o dulcis, Virgo Maria”.

È una fervida preghiera alla Vergine che si svolge in tonalità di La Maggiore, piega, in quella di sottodominante, modula in Fa diesis minore e conclude nella tonalità iniziale.

La melodia è semplice, accorata, ricca di cromatismi che le conferiscono un carattere ancora più devoto. È l’invocazione di un animo credente alla Madre Celeste. È un canto dolce e spontaneo che si scioglie lineare in perfetta armonia con un accompagnamento che con esso dialoga, lo completa e lo sostiene tenuamente.

Un atto di fede, dunque, di un fervente cattolico in cui la dignità e il magistero della forma s’accompagnano alla nobiltà dell’ispirazione.

Ancora tre anni ed il Maestro ritorna ancora alla medesima musica sacra.

È del 1881 la partitura per coro, soli e piccola orchestra (2 violini, viola, clarino, fagotto, violoncello, basso ed arpa) delle “Tre Ore di Agonia di N. S. Gesù Cristo”.

Qui il Vessella dimostra una sapiente capacità di aggiornamento alle correnti più vive della musica europea di fine Ottocento, ed una assimilazione perfetta degli studi compiuti su Haydn, Mozart, Beethoven. Si sente il giovane musicista che muove i primi passi all’ombra dei grandi classici. Ce lo rivela lo stile, specie per quanto riguarda il rapporto discorsivo tra le voci e i vari strumenti.

Nella “Quinta parola” la tematica viene iniziata dal violoncello, mentre l’arpa si scioglie in un delicato arpeggio rafforzato dai primi e secondi violini. Entrano le voci (Tenori e Bassi), sorrette dal clarino. Un delicato duetto con uno sviluppo tematico perfetto.

Si avverte in questa composizione il futuro Direttore riformatore di Banda. Una riforma prodotta attraverso il filtro delle nuove idee wagneriane e proprie del momento.

Vi sono, inoltre, come nel “Finale” unisoni vocali, interludi soltanto strumentali e un poderoso coro ricco di contrappunto.

È un artista geniale il Vessella, colto, vivace, ricco sempre di spunti e di idee nuove. È un figlio della “Giovane scuola italiana”. Un musicista perfettamente ambientato nel suo tempo.

Nato nel 1860, fu anziano più del Mascagni di appena tre anni; Puccini e Leoncavallo sono più grandi di Lui di appena due anni; Lorenzo Perosi è più giovane di Lui di appena dodici anni.

Questi, per citarne solo alcuni, costituiscono tutti una generazione con la quale il Vessella ebbe in comune le essenziali caratteristiche dell’epoca, direi quasi lo stesso sviluppo di carriera iniziale. Puccini iniziò a cimentarsi con l’arte in Chiesa componendo canoni e responsori. Come magnifico e solenne si eleva il canto della “Regina coeli laetare” nella Cavalleria Rusticana del Mascagni, così magnifico e solenne si eleva il canto del “Jesus autem” del Vessella nel finale della sua “Agonia”.

Affinità di colori e di linee melodiche. Musica vibrante, ricca di umanità, calda di immediata e pura passione, sia essa vocale o strumentale. “Qual giglio candido” canta il Tenore nella quinta parola, e qua sembra ascoltare quel “Noli me tangere” che più tardi il Perosi ci farà ascoltare nella sua Resurrezione di Cristo.

Grandezza dell’arte! Tu accumuni menti diverse, tendenze a volte agli antipodi, nazionalità le più disparate, e fondi il tutto in un unico crogiuolo di bellezza, di altissima elevazione spirituale, di sublime trascendenza!

Dieci anni più tardi, appena ventiquattrenne, il Vessella ci offre altra prova della sua arte e della sua preparazione con la “Novena di S. Sisto”, patrono della Sua città natia e della Diocesi di Alife.

Sono parti staccate di una sola composizione. Essa si giova di questa o quella voce o complesso di voci umane (Tenore, Basso, Baritono, Coro), secondo è più appropriato al senso delle parole.

Anche qui si notano profondi squarci di contrappunto a imitazione, una impeccabile armonia tra le parti che si alternano, a momenti, con l’organo.

Tecnica semplice, lineare, stile dignitoso e devoto. Una preghiera del figlio al Padre. Il palpito dell’artista con la mente rivolta all’Altissimo, che penetra nel nostro cuore ancora a distanza di un secolo circa.

È il futuro Maestro che conversa coi suoi simili con linguaggio musicale. È l’educatore, così come lo definisce il Prof. Marrocco in un suo articolo sul “Corriere del Matese” del 18 aprile 1965, che ci parla con la potenza della Sua espressione e della Sua arte.

Altro lavoro, senza data, ma che è chiaro appartenere alla maniera giovanile del Vessella, è la riduzione per due pianoforti a otto mani della “Marche a la Turque des Ruines d’Athène” di L. Beethoven.

In questa trascrizione risalta il musicista ormai maturo per la “seconda maniera”; Colui che farà parlare di sé per le sue trascrizioni, il riformatore del complesso bandistico, lo studioso della Banda, il Maestro di questa branca artistica tanto interessante e fino ai suoi giorni alquanto ignorata, infine l’Educatore delle folle come giustamente lo definisce il Mascagni nella prefazione al testo “La Banda” dello stesso Vessella, edito dall’Istittuto Editoriale Nazionale di Milano nel 1935, a cura della famiglia dell’Illustre Maestro.

La marcia è ridotta come se le parti fossero affidate a strumenti.

Il tema, ora al primo, ora al secondo pianoforte, corre con diversità timbrica dall’acuto al grave, così come nella banda passa dai legni agli ottoni e poi ritorna brillante, poderoso, cantato da tutto il complesso.

Un equilibrio perfetto regna in tutti i registri.

Chi, come lo scrivente, ha avuto il piacere di studiare, analizzare, ascoltare lavori di trascrizione del Maestro Vessella, può – senza tema di errare – stabilire un giusto paragone tra il Suo modo di intendere una esecuzione bandistica e quello adoperato per la elaborazione per due pianoforti della Marcia turca di Beethoven.

Un’altra ispirata pagina vesselliana è il Monologo “A se stesso” per canto e piano, su versi di Giacomo Leopardi (opera conservata dal Prof. Marrocco).

Come già in altre Sue composizioni il Vessella ci presenta una tipica, carezzevole melodia. Leopardi trova in Lui un’interprete eccezionalmente attento a tutte le più delicate sfumature. Si sente Schubert in questo gioiello di semplicità; lo Schubert dei lieder. Inizia il Monologo sottovoce con dei cromatismi gravi in Fa Maggiore che ci introducono in un ambiente Meditativo, profondo, com’è il pessimismo leopardiano. Un cromatismo che, nella prima parte, irrobustisce l’accompagnamento pianistico portando su di esso il peso maggiore della definizione dello stato d’animo del Maestro e dello sfondo alla melodia. Un quadro del Rembrandt sembra quando, con giuoco essenzialmente luministico e coloristico, dà un aspetto drammatico a tutta la scena.

Ecco un grido lacerante “Altro mai nulla. E fango è il mondo” (con forza e agitato, indica l’autore). Poi di nuovo pianissimo mentre l’accompagnamento scorre terzinato, come il trascorrer del tempo, della giovinezza, della vita. Un lento consumarsi delle cose verso la dissoluzione del nulla.

Momenti bellissimi dello spartito, che rivelano una grande capacità di capire e di rendere. Nel Rembrandt, colpi di colore, nel Vessella accordi perfetti, cromatismi, modulazion e risoluzioni che ornano il primo piano della melodia, tenuta dalla voce.

Qui è il Maestro “liederista” con tutti quei caratteri che, attraverso questo breve studio dell’arte Sua giovanile, ormai siamo soliti considerare suoi propri: ricchissimo nella elaborazione, multiforme, fecondo, colmo di immediatezza nell’intonare le parole siano esse profane o sacre. Il Monologo è un prodotto d’arte raffinatissima; quella stessa che lo accompagnerà per tutta la sua carriera e lo porterà alle più elevate vette del successo.

Figura imponente di musicista e d’interprete, quella del Vessella, che va considerata nel complesso delle sue facoltà e pertanto studiata. Fu un classico ed un mistico, un realista a sfondo romantico.

Ligio ai canoni di una forma essenziale, temprata attraverso lo studio profondo delle evoluzioni musicali da Bach a Beethoven, da Wagner a Debussy, sognò, nella sua giovinezza, di ricongiungersi, attraverso il linguaggio musicale, ad una idea di fede e di elevazione spirituale. E più tardi farà della Banda il mezzo con cui realizzare questo sogno in una più vasta visione educatrice e divulgatrice, perché tutti siano toccati dalle bellezze della musica.

Le Sue composizioni giovanili, anche se brevi ed inedite, rivelano un musicista di eccezionale serietà, di grande modestia e di profondo pensiero.

I giovani musicisti dell’epoca, come all’inizio di questo mio scritto ho già accennato, tendono con grande interesse l’orecchio e l’anima a quello che accade fuori. La scuola russa, i movimenti creati intorno a Debussy ed a Strauss (post wagneriano), hanno fatto proseliti e nello stesso tempo provocano reazioni.

Wagner e la sua riforma orchestrale, la rinascita della cultura esercitano un’azione notevole sulla sensibilità artistica dei giovani, come stimolo a nuove aspirazioni. Tutte cose che suscitano contraccolpi nella nuova generazione dei musicisti italiani. Il mondo musicale italiano si rinnova.

L’illustre Maestro, figlio di quest’epoca, l’ardente spirito giovanile della prima maniera, il Vessella del “Pensiero Melodico”, dello appassionato “Monologo”, il Vessella ardente di fede cristiana nella “Salve Regina”, cede ora ad una aspirazione più grande: divulgare la rinnovata arte musicale. Egli sente impetuosa entro sé questa aspirazione che lo spinge e lo esorta perché sa che è la via giusta, la più diretta che porta alle folle. E non per ottenerne applausi, onori, gloria (dai quali sempre Egli rifugge), ma per educare. Si volge deciso, allora, alla Banda trait-d’union tra l’arte ed il popolo.

Egli stesso ce lo conferma: “…la banda nata per il popolo, voce poderosa che s’impone e s’innalza, incontenibile per forza di penetrazione e di comprensione, ha bisogno di un campo vasto e sconfinato, senza costrizioni e senza restrizioni, per dire a tutti la parola che educa, nobilita e ingentilisce” (cfr. La Banda di A. Vessella, pag. 216). Ed ancora “Così oggi, accanto ai nomi più popolari dei musicisti nostri del ‘700 e dell’800, accanto ai grandi contemporanei della nostra suadente melodia: Puccini, Mascagni, Giordano ed altri: il repertorio delle Bande moderne accoglie le musiche di Bach, Beethoven, Mendelsohn, Saint-Saèns, Wagner, Chopin e le risorse dei complessi bandistici si sono affermate plasmandosi alle trascrizioni dall’orchestra, dall’organo, dal quartetto, dal pianoforte, fino a portare in piazza pagine che sembra fosse umanamente assurdo togliere dall’ambito delle sale” (cfr. La Banda di A. Vessella, pag. 213).

Alessandro Vessella, dunque, ha fatto della musica lo scopo della Sua vita.

Le Sue esperienze giovanili rappresentano solo una preparazione; una breve anticamera per una più grandiosa affermazione, per una più alta missione riservatagli dalla Provvidenza a coronamento delle Sue qualità di artista e di uomo.

Sarà il Concorso per Direttore della Banda del Comune di Roma, nel 1885 che segnerà il definitivo passaggio del Maestro dalla “prima” alla “seconda” maniera; quella a tutti ben nota e da altri, prima di me, più volte descritta e decantata.

 

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