Personaggi di rilievo del
Medio Volturno Home page
Alessandro Vessella e la sua arte giovanile
(in Annuario ASSA 1966, pp.
32-42)
del Maestro Enrico
Caruso
Alessandro
Vessella nacque ad Alife, in Provincia di Caserta, il 31 marzo del 1860.
L’epoca
in cui Egli visse la sua prima giovinezza, è un’epoca in cui si manifestano,
con chiari segni, le tendenze innovatrici della musica europea ed italiana in
particolare.
Il
Romanticismo di Chopin, caratterizzato dal pessimismo sentimentale, da
un’angoscia sottile e diffusa, ha già ceduto al virtuosismo scenico di Liszt,
che a sua volta, precorre l’impressionismo colorando e sfumando la musica in
una fusione magnifica della psiche con le impressioni immediate della natura.
Un’ansia
nuova pervade tutta a seconda metà del XIX secolo: il gusto di vedere le cose
come sono ed una reazione agli eccessi dell’idealismo romantico, la negazione
di schemi astratti, del fantastico, del sognante. La letteratura si svolge al
popolo, ai poveri, agli umili; sente fino in fondo il peso delle umane
sofferenze, rifiuta le utopie e cerca il reale. È l’ondata rinnovatrice del
“Verismo”, nato sotto l’influenza del realismo narrativo russo, inglese e più
particolarmente del naturalismo francese, ispirato al positivismo dominato da
Spencer, Comte, Ardigò, Mill.
In
letteratura è il momento del Verga, Capuana, Serao ed in Francia del Zola.
Nell’arte musicale Verismo significò “ricerca di passione, di vita” per usare
una definizione del Saint-Saéns.
La
schiera dei moderni musicisti è dotata di una sensibilità che, come è naturale,
manifestano in grado diverso perché diversamente influenzati dalla maniera di
Berlioz, di Wagner, di Verdi o delle varie scuole europee di cui diremo
appresso.
Ricerca
del vero, dunque, e modo di esprimerlo e renderlo accogliente all’uditorio.
La
scuola Russa, costituita dal famoso gruppo dei cinque (Balakirev, Ciaikowsky,
Borodin, Mussorgky, Rimsky-Korsakoff), si impone col suo nuovo modo di
comporre: immediato, con freschezza di una sensibilità armonica senza
preoccupazioni di regole, un gusto vivo dell’armonia come gioco di colori, non
astratti, ma sempre in funzione di lirica ed espressione.
Dalla
Russia il movimento innovatore delle correnti musicali europee si sposta in
Francia, ove è rappresentato, principalmente dall’opera di Claude Debussy.
Contemporaneo dell’impressionistmo del Mallarmé, egli manifesta nell’opera
“Pelleas et Melisande” e nei “Préludes” per pianoforte, una reazione alla forma
– nel senso della tradizione – rendendo la musica come una serie di emozioni
che si traducono in sempre nuove impressioni, in luci ed ombre, associati in
urti strani, a volte estranei ai loro elementi armonici.
Accanto
a Debussy primeggiano i nomi di Franck e di Bizet che con Carmen inizia il
realismo drammatico-musicale francese.
Il
Verismo è ormai nel mondo musicale ed il suo primo successo l’ha avuto proprio
in Italia, a Milano, col trionfo della stessa Carmen, nel novembre 1881; quella
Milano che dodici anni prima aveva fischiato il Mefistofele di Boito, già
palesemente orientato verso nuovi ideali. Bizet, dunque, ricerca la verità;
Mascagni e Puccini la ricercano; Mussorgky la ricerca. Ma in quanti vari modi
essi la presentano! La realtà appare in aspetti diversi. Ma è sempre lo stesso
anelito, mentre mutano orizzonti e luci.
In
Italia è l’epoca dei grandi Maestri come Sgambati, Busoni, Martucci (nostro
conterraneo, nato a Capua, nel 1856). È l’epoca in cui si fa sentire l’influsso
delle idee nuove di Wagner, attraverso le opere dello stesso Martucci e del
Catalani. È pure l’epoca del trionfo di Verdi, mentre si affacciano alla
ribalta nuovi geni come Puccini, Leoncavallo, Giordano, Cilea, Mascagni; tutti
contemporanei del nostro Vessella.
E
Alessandro Vessella viene fuori da questi movimenti, non perché ne sia stato
imitatore e ne abbia risentito l’efficacia, ma per le stesse ragioni per le
quali questi movimenti ebbero vita: rinnovare.
Perciò
il dono che Natura gli ha concesso d’essere musicista è per Lui quanto mai
prezioso, perché inteso come missione: una missione che per esser tale deve
sempre tener presente gli altri senza lasciare che il proprio Io offuschi ogni
cosa.
Con
questi principi Vessela si volgerà, con gli anni, alla Banda come mezzo di
efficace espressione di cultura musicale popolare.
La
musica ch’altri potrebbe considerare un puro gioco felice di suoni, di forme e
di colori, è per Lui una confessione umana, un diario intimo, gioia, dolore.
Studiò
presso il Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli, pianoforte e
composizione. Voleva essere pianista, ma un crampo alla mano glielo impedì.
Poche
opere di composizione (appena 11 e tutte della prima maniera, che si conservano
inedite presso il Museo Alifano di Piedimonte d’Alife), sono giunte a noi. Ma,
per fortuna, toccano vari stili: dal religioso al profano, dalla sonata per
pianoforte al quartetto. Sicché ci è possibile tracciare la figura completa del
giovane musicista.
Nella
musica di Chiesa, le sue composizioni sono ispirate ad una dolce sensibilità:
l’impianto ideale è sobrio, pieno di dignità. Lo stile nobile, e denso di begli
accordi tonali.
La
melodia cantabile è costruita con un linguaggio estremamente semplice e
scorrevole.
Una
musica facile, ma profondamente sentita; senza troppo approfondimento tecnico,
ma di trascinante umanità.
Le
sonate per pianoforte sono caratterizzate da un fresco linguaggio venato di
sottili ombre di romantica malinconia.
I
suo pezzi sono di differente intonazione e di varia concezione, ma è sempre lo
stesso atteggiamento spirituale, la medesima disposizione d’animo.
Egli
è un musicista che, nelle Sue composizioni, parla sempre a sé stesso. Vi si
nota un continuo raccoglimento interiore: sia il punto di partenza un motivo
puramente lirico (vedi la Salve Regina), o più brillante visione pianistica
(vedi il Pensiero Melodico).
Vi
sono momenti nella Sua musica pianistica in cui appare frequente come un senso
di attrazione verso l’orchestra. Spesso Egli rivela la tendenza a sorpassare le
risorse strumentali della tastiera (vedi Serenità dell’anima). Questo
superamento avverrà, in maniera decisiva, ed in tutta la sua concezione
artistica allorquando, abbandonato il pianoforte, andrà decisamente verso la
Banda.
Ed
eccoci al 1877. Ancora diciassettenne Alessandro Vessella compone il “Pensiero
Melodico” per pianoforte, dedicato alla N. D. Giacinta Santasilia, principessa
di Piedimonte. È nella tonalità di Mi Magg.
Nella
bozza reca ancora qualche correzione del M° Furno (già maestro del Bellini,
Mercadante, Petrella, insieme allo Zingarelli ed al Tritto). È una delle prime,
se non proprio la prima opera del Vessella ancora allievo di Conservatorio.
Ricca di sentimento: un sentimento espresso in termini quasi violenti (impetuoso,
ardente) e nello stesso tempo dolci (malinconia, calma). È dominata dalla volontà
di trasmettere un messaggio intimo, di servirsi delle forme musicali per dire
qualcosa di più, che parli direttamente all’animo dell’ascoltatore
trasmettendogli un particolare “stato d’animo”, descrivendogli un intenso
paesaggio sentimentale. È una pagina in cui tecnica e fantasia si fondono in
mirabile unità.
“Leggermente
arpeggiato”, “Cantando”, “Pianissimo” questi i segni d’espressione che si
leggono all’inizio del pezzo.
Canta
il basso mentre la destra si scioglie di un magnifico arpeggiato (molto
leggere, ci indica l’Autore). È un mormorio come di un animo in agitazione,
come il fruscio di un venticello tra le fronde a primavera, come al carezza di
un dolce sogno giovanile. Poi un “crescendo”, alcuni accordi ed ecco una
cadenza che trasporta nella luminosa, quanto improvvisa felicità sonora del
secondo tema. È un “divertimento”ora che si inserisce nel canto, mentre questa
volta è la sinistra che mirabilmente arpeggia “in seste”. Un dialogo musicale
ed uno stile perfetto. È un gioco di sestine sostenuto (con sentimento – ripete
l’autore – e piano), ondulante, racchiuso nel giro armonico di una modulazione
in DO diesis minore ed il relativo rientro nella tonalità iniziale, che si
schiude come una voce tutta ripiegata nella sua intimità canora.
Una
profonda emotività, vaghe luci ed ombre di mistero che richiamano l’arte del
Debussy.
Queste
le caratteristiche fondamentali dell’opera. In essa notiamo un Vessella che padroneggia
la tastiera con estrema sicurezza, con una fantasia che spazia libera, ricca,
vivace, senz’alcuna timida inibizione. “Quando le idee sono giuste – afferma
Beethoven – l’elaborazione non ha alcuna importanza”. Esse infatti, sgorgano
facilmente dall’animo del Nostro compositore che non trova difficoltà a
fissarle sulla carta, padrone, com’è, della sintassi musicale, di tutti i suoi
più raffinati artifizi e della tecnica pianistica.
Incalza
la sonata in un “Poco agitato” finché lo sforzo creativo cede ad un ad un
abbandono conclusivo, ove il tema ritorna appena accennato e chiude con un
accordo isolato fortissimo.
Ad
un anno di distanza ecco un altro capolavoro: “Serenità dell’anima” sonata per
pianoforte, composta nel 1878 e dedicata alla giovanetta pianista Matilde
Antinucci.
Qui
appare il diciottenne appassionato e romantico, certamente innamorato. La
melodia cela un animo profondamente buono e facile alla commozione. Stupendo
l’Andante iniziale che ha il colore tenero e uniforme di un disteso paesaggio
campestre.
Semplice,
modesto, sobrio, il tema della Sonata si affaccia timidamente nella tonalità di
La Maggiore, finché un “affrettando” rompe l’incertezza ed incalza in un
crescendo per la gran parte formato da semicrome. Bello, loquace, direi ardito.
È il punto culminante del discorso a due. È un dialogare, così come fa il
giovanetto allorché dichiara tutto il suo amore alla donna amata.
Lo
sviluppo della Sonata ha quasi il compito di portarci lontani dal tema, per poi
farci sentire, con più dolcezza, il piacere di ritrovarlo, alla fine, intatto.
Ed infatti ritorna; questa volta con un accompagnamento più sciolto e mosso,
insistente e deciso, quasi a confermare il pensiero dominante, l’intenzione
della sonata e quella più intima del Suo Autore.
Poi
l’animo tormentato si acquieta in un pacato finale.
Si
sente la soddisfazione di un tal discorso musicale. La calma che segue
l’agitazione. È una musica ardente, che si serve delle forme non già per
adeguarsi ad esse, ma per piegarle, costringerle quasi violentemente ad
esprimere qualcosa di preesistente ad esse; qualcosa che prima ancora di essere
musica è stato d’animo, emotività, valore ideale dello spirito.
Tornano,
in breve, anche se in forma diversa, gli stessi moventi del “Pensiero
Melodico”.
Eccoci
al primo accostamento del Maestro alla musica sacra.
È
del marzo 1878 la “Salve Regina” per Tenore o Soprano con accompagnamento di
Quartetto d’archi. L’opera, conservata nel Museo Civico di Piedimonte, è
scritta per canto e organo, né ci è pervenuta alcuna partitura per Quartetto,
anche se sul frontespizio è così indicato.
Comunque
da alcuni appunti segnati a matita dal Vessella, è chiaro che l’accompagnamento
e stato trascritto per Quartetto d’archi. Si legge, infatti, in qualche punto
“Violino”, volendo intendere che quella parte doveva essere affidata al
violino.
È
una delle pagine ricche di commozione religiosa del Vessella giovane e che già
anticipa quei modi di più intima confessione che riserverà ad altre pagine
religiose come l’Agonia e la Novena di S. Sisto.
Pagina
bellissima d’arte che mai vien meno alle particolari esigenze stilistiche della
musica sacra. Va rilevato una intima aderenza della melodia alla ritmica del
testo e soprattutto al suo spirito.
Una
breve introduzione prepara al raccoglimento spirituale, mentre calma inizia la
voce, la sua preghiera. Tutto si anima al “Ad Te clamamus” ripetuto più volte
supplichevole, implorante, devoto, mentre un arpeggio (che certamente nella
riduzione per Quartetto è affidato al violoncello), sta a sottolineare
l’agitazione dell’animo orante.
Insiste,
ancora, sulla frase “Et Jesu benedictum post hoc exilium ostende”.
Quivi
la melodia si intreccia e si alterna in un duetto mirabile con
l’accompagnamento (nel Quartetto i violini, così è stato appuntato dal Vessella).
Segue un “Agitato” che conclude “O clemens, o dulcis, Virgo Maria”.
È
una fervida preghiera alla Vergine che si svolge in tonalità di La Maggiore,
piega, in quella di sottodominante, modula in Fa diesis minore e conclude nella
tonalità iniziale.
La
melodia è semplice, accorata, ricca di cromatismi che le conferiscono un
carattere ancora più devoto. È l’invocazione di un animo credente alla Madre
Celeste. È un canto dolce e spontaneo che si scioglie lineare in perfetta
armonia con un accompagnamento che con esso dialoga, lo completa e lo sostiene
tenuamente.
Un
atto di fede, dunque, di un fervente cattolico in cui la dignità e il magistero
della forma s’accompagnano alla nobiltà dell’ispirazione.
Ancora
tre anni ed il Maestro ritorna ancora alla medesima musica sacra.
È
del 1881 la partitura per coro, soli e piccola orchestra (2 violini, viola,
clarino, fagotto, violoncello, basso ed arpa) delle “Tre Ore di Agonia di N. S.
Gesù Cristo”.
Qui
il Vessella dimostra una sapiente capacità di aggiornamento alle correnti più
vive della musica europea di fine Ottocento, ed una assimilazione perfetta
degli studi compiuti su Haydn, Mozart, Beethoven. Si sente il giovane musicista
che muove i primi passi all’ombra dei grandi classici. Ce lo rivela lo stile,
specie per quanto riguarda il rapporto discorsivo tra le voci e i vari
strumenti.
Nella
“Quinta parola” la tematica viene iniziata dal violoncello, mentre l’arpa si
scioglie in un delicato arpeggio rafforzato dai primi e secondi violini.
Entrano le voci (Tenori e Bassi), sorrette dal clarino. Un delicato duetto con
uno sviluppo tematico perfetto.
Si
avverte in questa composizione il futuro Direttore riformatore di Banda. Una
riforma prodotta attraverso il filtro delle nuove idee wagneriane e proprie del
momento.
Vi
sono, inoltre, come nel “Finale” unisoni vocali, interludi soltanto strumentali
e un poderoso coro ricco di contrappunto.
È
un artista geniale il Vessella, colto, vivace, ricco sempre di spunti e di idee
nuove. È un figlio della “Giovane scuola italiana”. Un musicista perfettamente
ambientato nel suo tempo.
Nato
nel 1860, fu anziano più del Mascagni di appena tre anni; Puccini e Leoncavallo
sono più grandi di Lui di appena due anni; Lorenzo Perosi è più giovane di Lui
di appena dodici anni.
Questi,
per citarne solo alcuni, costituiscono tutti una generazione con la quale il
Vessella ebbe in comune le essenziali caratteristiche dell’epoca, direi quasi
lo stesso sviluppo di carriera iniziale. Puccini iniziò a cimentarsi con l’arte
in Chiesa componendo canoni e responsori. Come magnifico e solenne si eleva il
canto della “Regina coeli laetare” nella Cavalleria Rusticana del Mascagni,
così magnifico e solenne si eleva il canto del “Jesus autem” del Vessella nel
finale della sua “Agonia”.
Affinità
di colori e di linee melodiche. Musica vibrante, ricca di umanità, calda di
immediata e pura passione, sia essa vocale o strumentale. “Qual giglio candido”
canta il Tenore nella quinta parola, e qua sembra ascoltare quel “Noli me
tangere” che più tardi il Perosi ci farà ascoltare nella sua Resurrezione di
Cristo.
Grandezza
dell’arte! Tu accumuni menti diverse, tendenze a volte agli antipodi,
nazionalità le più disparate, e fondi il tutto in un unico crogiuolo di
bellezza, di altissima elevazione spirituale, di sublime trascendenza!
Dieci
anni più tardi, appena ventiquattrenne, il Vessella ci offre altra prova della
sua arte e della sua preparazione con la “Novena di S. Sisto”, patrono della
Sua città natia e della Diocesi di Alife.
Sono
parti staccate di una sola composizione. Essa si giova di questa o quella voce
o complesso di voci umane (Tenore, Basso, Baritono, Coro), secondo è più
appropriato al senso delle parole.
Anche
qui si notano profondi squarci di contrappunto a imitazione, una impeccabile
armonia tra le parti che si alternano, a momenti, con l’organo.
Tecnica
semplice, lineare, stile dignitoso e devoto. Una preghiera del figlio al Padre.
Il palpito dell’artista con la mente rivolta all’Altissimo, che penetra nel
nostro cuore ancora a distanza di un secolo circa.
È
il futuro Maestro che conversa coi suoi simili con linguaggio musicale. È
l’educatore, così come lo definisce il Prof. Marrocco in un suo articolo sul
“Corriere del Matese” del 18 aprile 1965, che ci parla con la potenza della Sua
espressione e della Sua arte.
Altro
lavoro, senza data, ma che è chiaro appartenere alla maniera giovanile del
Vessella, è la riduzione per due pianoforti a otto mani della “Marche a la
Turque des Ruines d’Athène” di L. Beethoven.
In
questa trascrizione risalta il musicista ormai maturo per la “seconda maniera”;
Colui che farà parlare di sé per le sue trascrizioni, il riformatore del
complesso bandistico, lo studioso della Banda, il Maestro di questa branca
artistica tanto interessante e fino ai suoi giorni alquanto ignorata, infine l’Educatore
delle folle come giustamente lo definisce il Mascagni nella prefazione al
testo “La Banda” dello stesso Vessella, edito dall’Istittuto Editoriale
Nazionale di Milano nel 1935, a cura della famiglia dell’Illustre Maestro.
La
marcia è ridotta come se le parti fossero affidate a strumenti.
Il
tema, ora al primo, ora al secondo pianoforte, corre con diversità timbrica
dall’acuto al grave, così come nella banda passa dai legni agli ottoni e poi
ritorna brillante, poderoso, cantato da tutto il complesso.
Un
equilibrio perfetto regna in tutti i registri.
Chi,
come lo scrivente, ha avuto il piacere di studiare, analizzare, ascoltare
lavori di trascrizione del Maestro Vessella, può – senza tema di errare –
stabilire un giusto paragone tra il Suo modo di intendere una esecuzione
bandistica e quello adoperato per la elaborazione per due pianoforti della
Marcia turca di Beethoven.
Un’altra
ispirata pagina vesselliana è il Monologo “A se stesso” per canto e piano, su
versi di Giacomo Leopardi (opera conservata dal Prof. Marrocco).
Come
già in altre Sue composizioni il Vessella ci presenta una tipica, carezzevole
melodia. Leopardi trova in Lui un’interprete eccezionalmente attento a tutte le
più delicate sfumature. Si sente Schubert in questo gioiello di semplicità; lo
Schubert dei lieder. Inizia il Monologo sottovoce con dei cromatismi
gravi in Fa Maggiore che ci introducono in un ambiente Meditativo, profondo,
com’è il pessimismo leopardiano. Un cromatismo che, nella prima parte,
irrobustisce l’accompagnamento pianistico portando su di esso il peso maggiore
della definizione dello stato d’animo del Maestro e dello sfondo alla melodia.
Un quadro del Rembrandt sembra quando, con giuoco essenzialmente luministico e
coloristico, dà un aspetto drammatico a tutta la scena.
Ecco
un grido lacerante “Altro mai nulla. E fango è il mondo” (con forza e agitato,
indica l’autore). Poi di nuovo pianissimo mentre l’accompagnamento scorre
terzinato, come il trascorrer del tempo, della giovinezza, della vita. Un lento
consumarsi delle cose verso la dissoluzione del nulla.
Momenti
bellissimi dello spartito, che rivelano una grande capacità di capire e di
rendere. Nel Rembrandt, colpi di colore, nel Vessella accordi perfetti,
cromatismi, modulazion e risoluzioni che ornano il primo piano della melodia,
tenuta dalla voce.
Qui
è il Maestro “liederista” con tutti quei caratteri che, attraverso questo breve
studio dell’arte Sua giovanile, ormai siamo soliti considerare suoi propri:
ricchissimo nella elaborazione, multiforme, fecondo, colmo di immediatezza
nell’intonare le parole siano esse profane o sacre. Il Monologo è un prodotto
d’arte raffinatissima; quella stessa che lo accompagnerà per tutta la sua
carriera e lo porterà alle più elevate vette del successo.
Figura
imponente di musicista e d’interprete, quella del Vessella, che va considerata
nel complesso delle sue facoltà e pertanto studiata. Fu un classico ed un
mistico, un realista a sfondo romantico.
Ligio
ai canoni di una forma essenziale, temprata attraverso lo studio profondo delle
evoluzioni musicali da Bach a Beethoven, da Wagner a Debussy, sognò, nella sua
giovinezza, di ricongiungersi, attraverso il linguaggio musicale, ad una idea
di fede e di elevazione spirituale. E più tardi farà della Banda il mezzo con
cui realizzare questo sogno in una più vasta visione educatrice e divulgatrice,
perché tutti siano toccati dalle bellezze della musica.
Le
Sue composizioni giovanili, anche se brevi ed inedite, rivelano un musicista di
eccezionale serietà, di grande modestia e di profondo pensiero.
I
giovani musicisti dell’epoca, come all’inizio di questo mio scritto ho già
accennato, tendono con grande interesse l’orecchio e l’anima a quello che
accade fuori. La scuola russa, i movimenti creati intorno a Debussy ed a Strauss
(post wagneriano), hanno fatto proseliti e nello stesso tempo provocano
reazioni.
Wagner
e la sua riforma orchestrale, la rinascita della cultura esercitano un’azione
notevole sulla sensibilità artistica dei giovani, come stimolo a nuove
aspirazioni. Tutte cose che suscitano contraccolpi nella nuova generazione dei
musicisti italiani. Il mondo musicale italiano si rinnova.
L’illustre
Maestro, figlio di quest’epoca, l’ardente spirito giovanile della prima
maniera, il Vessella del “Pensiero Melodico”, dello appassionato “Monologo”, il
Vessella ardente di fede cristiana nella “Salve Regina”, cede ora ad una
aspirazione più grande: divulgare la rinnovata arte musicale. Egli sente
impetuosa entro sé questa aspirazione che lo spinge e lo esorta perché sa che è
la via giusta, la più diretta che porta alle folle. E non per ottenerne
applausi, onori, gloria (dai quali sempre Egli rifugge), ma per educare. Si
volge deciso, allora, alla Banda trait-d’union tra l’arte ed il popolo.
Egli
stesso ce lo conferma: “…la banda nata per il popolo, voce poderosa che
s’impone e s’innalza, incontenibile per forza di penetrazione e di
comprensione, ha bisogno di un campo vasto e sconfinato, senza costrizioni e
senza restrizioni, per dire a tutti la parola che educa, nobilita e ingentilisce”
(cfr. La Banda di A. Vessella, pag. 216). Ed ancora “Così oggi, accanto ai nomi
più popolari dei musicisti nostri del ‘700 e dell’800, accanto ai grandi
contemporanei della nostra suadente melodia: Puccini, Mascagni, Giordano ed
altri: il repertorio delle Bande moderne accoglie le musiche di Bach,
Beethoven, Mendelsohn, Saint-Saèns, Wagner, Chopin e le risorse dei complessi
bandistici si sono affermate plasmandosi alle trascrizioni dall’orchestra,
dall’organo, dal quartetto, dal pianoforte, fino a portare in piazza pagine che
sembra fosse umanamente assurdo togliere dall’ambito delle sale” (cfr. La Banda
di A. Vessella, pag. 213).
Alessandro
Vessella, dunque, ha fatto della musica lo scopo della Sua vita.
Le
Sue esperienze giovanili rappresentano solo una preparazione; una breve
anticamera per una più grandiosa affermazione, per una più alta missione
riservatagli dalla Provvidenza a coronamento delle Sue qualità di artista e di
uomo.
Sarà
il Concorso per Direttore della Banda del Comune di Roma, nel 1885 che segnerà
il definitivo passaggio del Maestro dalla “prima” alla “seconda” maniera;
quella a tutti ben nota e da altri, prima di me, più volte descritta e
decantata.
Personaggi di rilievo del Medio Volturno Home page