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Abbreviazioni
bibliografiche
Aurora Sanseverino (1669-1726)
e la sua attività di committente
musicale nel Regno di Napoli
Con notizie inedite
sulla napoletana Congregazione dei Sette Dolori.
Aurora Sanseverino è attualmente nota soprattutto per la sua attività di poetessa aggregata alla Colonia Sebezia dell’Arcadia[1] e per il suo mecenatismo nell’ambito letterario e delle arti figurative.[2] Attraverso lo spoglio della «Gazzetta di Napoli»[3], la consultazione del catalogo dei libretti di Sartori,[4] lo studio della corrispondenza tra la Sanseverino e il musicista Giacomo Antonio Perti[5] e il recupero di altre fonti solo recentemente emerse[6] abbiamo potuto ricostruire un’ accurata biografia di questa affascinante figura femminile, che ha permesso di mettere in luce anche l’ importante ruolo da lei svolto come musicista dilettante, autrice di testi per musica e, soprattutto, come patrocinatrice di attività musicali nel Regno di Napoli.[7]
Aurora Sanseverino nacque a Saponara[8] il 28 aprile1669[9] da Carlo Sanseverino, principe di Bisignano, conte di Chiaromonte e Saponara, e dalla trapanese Maria Fardella, principessa di Pacecco. Anche Carlo Sanseverino era un importante mecenate: dei suoi interessi musicali e della protezione da lui accordata a musicisti, che ospitava sia nei suoi feudi che nella residenza napoletana a Chiaia, è rimasta testimonianza nelle Memorie dell’ abate Bonifacio Pecorone, pubblicate nel 1729.[10] All’epoca Pecorone (il vero cognome era Petrone, mutato in Pecorone da un suo antenato), che era originario di Saponara, cantava come basso nella Cappella Reale di Napoli: nelle memorie racconta come aveva potuto sostenere gli studi musicali nei conservatori di S. Onofrio prima e di S. Maria di Loreto poi, grazie all’appoggio e al finanziamento della famiglia Sanseverino, alla quale rimase legato anche dopo la morte del principe Carlo.[11]
In un simile contesto Aurora trovò gli stimoli ideali per sviluppare la sua naturale e precoce propensione agli studi umanistici».[12]...
...
Il 28 aprile 1686, all’età di 17 anni, sposò in seconde nozze Nicola Gaetani d’Aragona, conte di Alife e futuro duca di Laurenzano, che aveva allora 24 anni.[13] Anche il Gaetani era un uomo di grande cultura. Aveva compiuto gli studi presso l’Università di Napoli ed era forse stato allievo di Giovanni Battista Vico.[14] Il matrimonio fu celebrato a Saponara con straordinari e lussuosissimi festeggiamenti, che durarono fino al 20 maggio.[15] Fra le esecuzioni musicali furono comprese messe a più cori di musica, «canzonette in lode de’ signori sposi», cantate da «esquisiti musici [...] ripartiti in due cori» e un’opera:
La sera de’ 4 maggio, fece il signor principe rappresentare
una commedia in musica, composta da penna eruditissima,[16]
e posta in musica dal signor Giovanni Bonaventura Viviani, maestro di cappella
di esso signore.[17] L’opera è
nuova, e non più comparsa in scena, trasportata dalla prosa spagnola.[18]
S’intitola, L’Elidoro, o vero Il fingere
per regnare,[19] e così per
le parole, come per la musica, non cede a qualsisia altra rappresentata al
nostro secolo. Il teatro fu superbissimo, che vinse di gran lunga le
magnificenze di quelli delle città più cospicue d’Italia. Era tutto illuminato,
con splendori e torce d’intorno, a i fianchi ed innanzi, così anche il vacuo
del teatro. I musici furono i migliori e più famosi de’ nostri tempi: mentre il
signor principe, con generosità pari alla nascita, ha con abbondanti regali
fatti venire da Napoli, da Palermo,[20]
da Bari e d’Acquaviva il fiore di quelli. Da Palermo la signora Maddalena
Frasconi, il signor Paolo Chirico,[21]
il signor D. Matteo Scarponio, il signor Ambrosio Paternò, il signor Giovanni
Chirico, col contrabbasso di viola ed un suo figliuolo, con la violetta. Da
Napoli il signor Giuseppe Canavese,[22]
il signor Geronimo Valle, il signor Giovanni Angelo Fuscaldi ed il signor
Francesco Buti; il signor Nicolò Pagano[23]
per la viola. D’Acquaviva il signor D. Giacomo Cefarelli. Da Bari il signor Domenico
Santoro e due violini. Dalla Rotonda il dottor Giuseppe Rinaldi. Le vesti
furono superbissime e di vaghissima vista, tutte ricamate e di gran spesa, con
piume nobilissime. Vi intervennero, oltre i sopradetti signori e monsignore
[Gregorio Giuseppe Gaetani, arcivescovo di Neocesarea], il signor principe di
Marsicovetere, Caracciolo, ed il signor D. Alvaro Xarava y Castillo, preside
della provincia di Matera, che a caso si trovò di passaggio per questa città.
Il concorso de’ curiosi e gentiluomini di tutti i luoghi circonvicini, da
novanta miglia attorno, fu così numeroso che, benché il luogo fosse capace di
mille e duecento persone in circa, restorno molti fuori. Per soddisfarli se ne
geminò la rappresentazione alli 7 detto. Per le signore dame s’innalzorno
balconetti, al dirimpetto il teatro, sostenuti da colonne e parati, tutti di
borcatello a fondo d’oro, ed il palchetto, dove stavano l’eccellentissimi
signori, fu tutto vestito d’una ferza di tela d’oro tirata, e l’altra di
raccamo e fiori al naturale, di punto arrasato. Riuscì veramente ambe le volte
esquisitissima, con universali applausi degli ascoltanti, avendo ciascuno de’
suddetti rappresentanti compita la sua parte egregia[mente] e maestrevolmente.[24]
Nel maggio 1686, come riferisce Confuorto, gli sposi erano a Napoli...
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Nel 1691 Aurora, che aveva già pubblicato alcune rime, entrò a far parte dell’Accademia dell’Arcadia, con il nome di Lucinda Coritesia.[25]...
...
E’ interessante notare come tra i membri di queste accademie erano molti degli abituali frequentatori dei salotti che la Sanseverino teneva nella sua residenza napoletana e in quella di Piedimonte d’Alife, dove organizzava abitualmente incontri tra pittori, letterati, storici, filosofi, giuristi, musicisti, ma anche spettacoli teatrali con e senza musica. Al salotto napoletano della Sanseverino fa riferimento Fausto Nicolini, a proposito degli ambienti culturali frequentati a Napoli dal Vico:
Non semplici salotti, ma
intere file di lussuosi saloni magnatizi erano aperti ai facitori di sonetti,
canzoni, madrigali, epitalami catulliani, e via dicendo, da due dame della più
eletta aristocrazia, alla cui nascita, per fortuna di quei versificatori, le
muse non s’erano mostrate nemiche. L’una era donna Aurora Sanseverino [...], la
quale, sposato in seconde nozze (1686) Nicola Gaetani primogenito del duca di
Laurenzano [...], anche lui non privo di velleità letterarie, fu lieta di
mostrare il suo amore alle lettere spalancando ai letterati che trovassero leggiadri
i suoi versi il palazzo Sanseverino di Bisignano in via Costantinopoli, [...],
offrendo loro, molto spesso, concerti musicali e spettacoli teatrali.[26]
Colà troneggiava Paolo di Sangro principe di Sansevero [...], il quale -informa
proprio il Vico- “avevasi degnamente trascelto per alto subietto delle sue
poesie”, tanto frigide quanto noiose la “magnanima” padrona di casa;[27]...
Un’altra preziosa fonte di informazioni sull’attività mecenatesca dei duchi di Laurenzano è lo scritto di Bernardo de Dominici sulla vita dei pittori, scultori e architetti napoletani, un testo di straordinario interesse, non solo per la storia dell’arte, ma anche «al riguardo della vita culturale e sociale della Napoli sei-settecentesca».[28] E’ interessante notare che, come dice Ferdinando Bologna, questo lavoro storiografico nacque sotto l’influenza degli ideali arcadici. Non per nulla l’ambiente culturale in cui avvenne la formazione del De Dominici era costituito per lo più da intellettuali appartenenti all’ambiente arcadico, tra cui gli stessi duchi di Laurenzano, al cui servizio lavorò come pittore di corte. Come lui stesso racconta era figlio del pittore, cantante e collezionista Raimondo e fratello dell’attore, letterato, cantante, strumentista e compositore Giovanni Paolo «virtuoso di camera» dei duchi di Laurenzano, presso la cui corte risiedeva.[29] E’ proprio attraverso la narrazione di Bernardo che questo ambiente di corte viene vivificato con i riferimenti ai pittori, scultori, letterati e musicisti protetti dalla Sanseverino e la descrizione dei meravigliosi dipinti, sculture e oggetti preziosi posseduto dai duchi di Laurenzano.[30]
Tra gli artisti che dimorarono in casa della Sanseverino erano...
...
Per il periodo 1698-1712 abbiamo potuto reperire notizie biografiche sulla Sanseverino nella sua corrispondenza col musicista Giacomo Antonio Perti. Nonostante il grande interesse musicologico, queste lettere giacciono in gran parte inutilizzate presso il Civico Museo Bibliografico di Bologna. Di grande immediatezza espressiva, esse ci immettono nel mondo personale di Aurora, dei suoi affetti intimi, facendoci conoscere da vicino i tratti del suo carattere e della sua personalità, la sua figura di donna e madre, ma soprattutto la sua grande passione per la musica. La prima lettera indirizzata al Perti risale al l6 novembre l698. Già dal l696 questi era maestro di cappella del duomo di Bologna e i contatti fra i due si possono spiegare con il fatto che l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Boncompagni, più volte citato nella corrispondenza, era parente di Aurora.[31] La corrispondenza inizia con la richiesta al compositore (l66l-l756) di sue cantate e di musica per i propri testi. La duchessa era una grande ammiratrice del musicista che allora era già molto noto come autore di musica liturgica, oratori, cantate ed opere:
Son quasi cinque anni che
ebbi la sorte di sentir cantare dal sig. Giuseppe Cannavese[32]
alcune composizioni di V. S. e restai così assorta della lor dolcissima
melodia, che, per non fare ingiustizia al vero, fui costretta confessare non
aver mai prima di quel tempo goduto simile compiacimento nella musica; ciò fu
cagione che io pregassi il medesimo sig. Cannavese a volermi donare quelle tre
sue cantate, che fé gustarmi, et avendomene favorita d'una sola, di buona
voglia gli rubai le due altre, per non restar priva del maggior godimento che
avessi mai sentito in vita mia. Non mancai però per l'avvenire di usare tutta
la mia diligenza per averne qualche altra, come ne può rendere a V. S. piena
testimonianza il sig. Nicolino di Bransvich,[33]
quale, avendomi favorito in questa mia terra, la prima cosa di che venne da me
dimandato fu se teneva sue cantate e, d'una che ne avea, già me ne compartì il
favore; resa perciò sempre più invaghita di componimenti sì preziosi, giuro il
vero che ho perso il gusto all'opre di ogn'altro, né questa V. S. la stimi adulazione,
perché, essendo ben note per ogni luogo le sue eccellenti virtudi, so che non
tiene bisogno di fare acquisto di glorie maggiori, avendone già a mio parere
toccato il sommo. Non ho mancato fra tanto di nutrire sempre un mio desiderio
di goder l'onore d'aver da lei registrata in note qualche mia composizione, mai
però ho ardito di porgerne a V. S. gli miei prieghi, ma ora che dal sig. Giulio
Cavalletti,[34] che si
trova attualmente al mio servigio, vengo assicurata delle cortesissime sue maniere,
prendo l'ardire di supplicarnela, inviandole a tal effetto due mie canzoni,
acciò si degni prima corrigerle in qualche verso, che conoscerà male acconcio
per la musica, che sarà il maggior favore che possa dispensarmi, col compatirne
assieme gli errori, non essendo questa mia professione, e poi porle in note una
per contralto et un'altra per soprano; né rechi questo a lei meraviglia,
mentre, essendo di contralto la mia voce, non volemo farci invidia col sig.
Giulio, ma cantarne una per ciasched'uno; e perché io soffro il travaglio de’
medesimi affetti ipocondriaci, che so che tormentano anche V. S., la priego
portarle in stile patetico, come conosco essere sua inclinazione.[35]
Le lettere successive, fino all’aprile 1703...
...
Aurora
Sanseverino e la confraternita dei sette Dolori.
La «real congregazione di N. S. de’ sette Dolori, eretta nella real chiesa di S. Luigi di Palazzo», di nobili e ufficiali spagnoli, era una delle più prestigiose tra le istituzioni napoletane dedite al culto della Madonna Addolorata,[36] tanto da poter vantare, dal 1743, tra i suoi confratelli, re Carlo e la regina Amalia.[37] Nota soprattutto per l’esecuzione dello Stabat Mater di Alessandro Scarlatti, che vi avveniva annualmente durante i sette venerdì di Quaresima, e per aver commissionato a Pergolesi l’omonima sua opera,[38] di questa confraternita è rimasta ingiustamente trascurata la promozione di esecuzioni di oratori e drammi sacri in onore dell’Addolorata. Solo recentemente, sulla base dei libretti superstiti e delle notizie tratte dalla «Gazzetta di Napoli»,[39] ne abbiamo potuto ricostruire in parte l’attività...
...
Le lettere dal 23 agosto al 27 dicembre 1711 si riferiscono al matrimonio di Pasquale Gaetani d’Aragona, conte d’Alife, l’unico figlio sopravvissuto di Aurora. Del loro contenuto si sono già occupati Antonello Furnari e Carlo Vitali,[40] al cui prezioso lavoro rimandiamo per i commenti relativi agli avvenimenti e ai personaggi citati, limitandoci a riportarle in appendice E, dato che non sono state mai pubblicate integralmente.[41]
La consultazione della Lettera a Silvio Stampiglia, recentemente riportata alla luce da Cotticelli e Maione, ci ha permesso di risolvere le problematiche aperte da Furnari e Vitali circa l’identificazione dei cantanti e dei lavori musicali eseguiti.[42] Dallo studio di questa relazione risulta che nello schema riportato da Furnari e Vitali alla p. 47 del loro articolo bisogna sostituire la serenata La Leucotee con La Clizia (di argomento affine), con testo di Nicolò Giuvo e musica di Giovanni Paolo di Domenico; inoltre bisogna aggiungere La Gloria vince Amore, composta da Giacomo Antonio Perti su testo di Pietro Pariati.
La citazione dei nomi di tutti gli esecutori permette inoltre di escludere la partecipazione della cantante Chiara Fuga alla esecuzione della serenata Aci, Galatea e Polifemo di Händel nella parte di Galatea. La relazione fornisce anche tutti i particolari relativi ai luoghi di esecuzione all’interno del palazzo ducale di Piedimonte. Ne riportiamo qui per esteso tutta la parte più strettamente pertinente agli avvenimenti musicali, segnalandone però l’importanza anche ai fini della descrizione della località di Piedimonte d’Alife, dell’interno del palazzo ducale,[43] dello svolgimento dei festeggiamenti e dei nobili invitati presenti.
Si è celebrato ne’ giorni
trascorsi con pompa nonché principesca ma reale lo sponsalizio, lungo tempo
dall’una e dall’altra parte sospirato, tra l’eccell. sig. Pascale Gaetano
d’Aragona conte d’Alife e l’ecc. sig. madama la principessa Maria Madalena di
Croy: questa de’ duchi d’Auré e sorella dell’altezza sereniss. di madama Maria
Teresa di Croy principessa di Darmstatt: quello unico figliuolo degli
eccellentissimi signori D. Nicolò Gaetano d’Aragona duca di Laurenzano,
principe della famiglia Gaetana, e D. Aurora Sanseverino de’ principi di
Bisignano. Rendé questo sponsalizio lietissimo il giorno sì fausto, sesto del
dicembre corrente, dedicato alle glorie del prodigioso san Nicolò di Mira,
ascendente felicissimo del padre dello sposo, che ne ha il nome [...].
Nel comparire su la porta
della città [di Capua] detti eccellentissimi duca e conte sposo, replicarono il
tuono dell’allegrezza le gole de’ bronzi del castello, ove essi pervenuti
insieme colle melodie di molti flauti ad uso germano,[44]
furono accolti con ogni segno di straordinario onore e, dopo il ricevimento
affettuosissimo dell’altezza sereniss. del principe di Darmstatt, preposto un
breve trattenimento tra l’eccellentiss. sposi e loro serenissima parentela,
calorono tutti nella chiesa del castello, dove, dopo la messa celebrata da
quell’ill. arcivescovo [Nicola] Caracciolo della Villa, tra i sacri riti della
chiesa romana dal medesimo prelato si celebrò il faustissimo sponsalizio [...].
Giunti al palagio ducale, al
cortile di esso fu ricevuta l’eccellentissima sposa e serenissimi prencipe e
prencipessa di Darmstatt, dall’eccell. signora D. Aurora Sanseverino duchessa
di Laurenzano e madre dello sposo [...]. In questa prima sera [6 dicembre] si
divertirono tutti tra sceltissime musiche di voci e di strumenti ben armoniosi
[...]. Nel giorno settimo del corrente mese giunse di buon mattino il sig. duca
di Madaloni per le poste da Formicola [...]. Terminossi l’allegria di questo
giorno con la famosa serenata intitolata La
Clizia posta in musica dal sig. Giovanni Paolo di Domenico e cantata dalli
signori virtuosi Chiara Fuga, Domenico Tempesti e Gioanni Rapaccioli, che
riuscì di tutta soddisfazione. Dato luogo alla curiosità nel vedere le tavolate
e goder delle musiche, mi darà luogo la sua gentilezza che io gli porga una
breve notizia della magnificenza del palagio ducale [...].
Io spero che all’ombre
oscure del mio rozzo inchiostro pure abbia goduto il suo occhio; ed ora spero allettarli
l’orecchio colle distinzioni delle vaghe musiche ed armonioso dramma, che a’ dì
8 del mese andò in iscena nel teatro ducale, veramente famoso. Il dramma
s’intitola La Cassandra indovina, che
riuscì di sommo plauso, sì per la melodia de’ virtuosi rappresentanti, che
furono i signori Orsola Astori Sticcotti, Domenico Tempesti, Silvia Maria Lodi
bolognese e Giovanni Rapaccioli, virtuoso di camera di S. A. il principe di Darmstatt,
Santa Marchesini e Giovanni Paolo di Domenico, virtuoso di camera
dell’eccellentiss. signora duchessa di Laurenzano, sì per le fatighe del
celebre maestro di cappella sig. Nicolò Fago detto il Tarantino e del sig. Giuseppe
Cappelli pittore delle scene. Il giorno seguente si cantò nella detta gran sala
la serenata intitolata La Galatea,
posta in musica dal sig. Giorgio Friderico Henne [sic], detto il Sassone, ed i
virtuosi che cantorono furono li signori D. Antonio Manni, Domenico Tempesti e
Giovanni Rapaccioli, e terminò col viva
così de’ serenissimi signori, come di tutti gli astanti.
Alli 10 si replicò il dramma
con maggior plauso che prima ed alli 11 si cantò nella detta gran sala un’altra
serenata col titolo La Jole, posta in
musica dal signor Nicolò Porpora, maestro di cappella di S. A. S. il principe
di Darmstatt, e li cantanti furono li stessi della prima serenata, col vanto
d’essere astretti a replicare diverse ariette.
Nel giorno 12 si cantò in
una delle anticamere la serenata intitolata La
gloria vince amore, musica del sig. Giacomo Antonio Perti, maestro di
cappella di S. Petronio di Bologna, li cantanti furono li signori Chiara Fuga,
virtuosa di camera dell’eccell. sig. duchessa di Laurenzano, D. Antonio Manni,
Domenico Tempesti e Giovanni Rapaccioli, ed in effetto sortì tutto il
desiderabile piacimento.
Il dì 13 tornò di nuovo in
iscena La Cassandra, e sempre più
applaudita.
Alli 14 nella gran sala fu
cantata un’altra serenata col nome La
Semele, posta in note dal sig. Francesco Mancini, vicemaestro della
Cappella Reale di Napoli, ed i virtuosi furono gli stessi soliti signori D.
Antonio Manni, Domenico Tempesti e Giovanni Rapaccioli e si meritò il viva, oltre del vanto di conciliare in
una gran folla un alto silenzio.
Alli 15 fu di bel nuovo
rappresentata la Cassandra e parve si
verificasse esser ella la corona nel fine delle musiche, tanto riuscì gradita.
[...]. Nella sera dello
stesso giorno [16 dicembre], per compimento d’una munificenza veramente regale,
dall’eccellentissima casa di Laurenzano furono ringraziati e regalati con
danari e gioie di diverse maniere tutti li signori virtuosi, che la mattina
seguente partirono con quantità di calessi, a spese dell’eccellentiss. casa,
contentissimi per li rari ed ammirabili tratti ricevuti da detta eccellentiss.
casa [...].
I nomi de’ poeti che hanno
celebrate le nozze degli eccellentissimi sposi sono i seguenti.
Lo dramma in musica
intitolato La Cassandra indovina,
dedicato all’eccellentissimi signori sposi, l’autore è stato il sig. ab. D.
Nicolò Giuvo.
La Clizia, serenata, dedicata a S. A. S. la signora prencipessa di Darmstatt, è
del suddetto sig. ab. Giuvo.
La Galatea, serenata dedicata a S. A. S. il principe di Darmstatt, dello stesso
sig. ab. Giuvo.
La Jole, serenata dedicata all’eccellentiss. signora D. Aurora duchessa di
Laurenzano è del sig. ab. Giuvo.
La gloria vince amore, serenata dedicata al sereniss. primogenito dell’A.
S. del principe di Darmstatt, è del dott. sig. Pariati veneto.
La Semele, serenata dedicata all’eccellentiss. sig. duca di Laurenzano, è del
sig. ab. Giuvo.
Il Sebeto festeggiante, ode epitalamica dedicata all’eccellentissima
signora duchessa di Laurenzano, è del sig. Pietro Brandi.
Alcuni componimenti poetici per le faustissime nozze sono del sig. D. Giuseppe Baldassarre Caputo e dal medesimo dedicati all’eccell. signora duchessa di Laurenzano.
Altri componimenti poetici di vari letterati, trasmessi all’eccellentiss. signora duchessa di Laurenzano dal suddetto sig. D. Giuseppe Baldassarre Caputo: i nomi de’ compositori sono i seguenti.
D. Teresa Lopez, D. Agnello Spagnuolo, D. Agnello
Albani, P. D. Alfonso Mariconda, D. Baldassarre Pisani, D. Bernardo de’
Dominici, P. maestro fr. Carlo Sernicola, D. Cesare d’Aquino, D. Domenico
Brandi, D. Filippo de Angelis, Filippo Roselli, D. Francesco Maria
dell’Antoglietta marchese di Fragagnano, Francesco Maria Cimino, Francesco
Buoncore, Francesco Potenza, Gasparo Villamagna, D. Giovanni Mario Crescimbeni,
Giacinto di Cristofano, Giovanni Adario, D. Giuseppe de Parrillis, Geronimo
Califano, D. Ignazio Giorgio, Giuseppe Macrino, Giuseppe Coppola, Giuseppe
Sorge, I. B., D. Nicolò Antonio Carbonelli barone di Letino e Aylano, Nicolò
Amenta, D. Nicolò Giuvo, D. Nicolas Ulloa y Severino, Nicolò Saverio Valletta,
Onofrio Cleffi, Pasquale Potenza, Pietro Puerio, Simon Barra, D. Tiberio de’
Fiori, D. Ottavio Gregorio Grimaldi, Giovanni Paolo di Domenico. [45]
Tutte le suddette composizioni sono state impresse
nella mia stamperia, quale per più comodità trasportai in Piedimonte [...].[46]
Napoli 26 dicembre 1711
Devotissimo
e obbligatissimo serv.
Michele
Luigi Mutio[47]
Anche i festeggiamenti non musicali furono altrettanto sontuosi...
...
Ma lo spettacolo più memorabile fu la serenata eseguita il 20 maggio 1716 nella residenza napoletana per la nascita dell’arciduca d’Austria,[48] che emerse tra le numerosissime manifestazioni organizzate in tutto il Regno per questa occasione.[49] Il testo e la musica furono commissionati ai due arcadi Eupidio Siriano (N. Giuvo) e Terpandro (A. Scarlatti) e anche l’argomento è ispirato a contenuti arcadici: la Primavera (interpretata da Matteo Sassano), l’Estate (Margherita Durastanti), l’Autunno (Francesco Vitale) e l’Inverno (Gaetano Borghi) si contendono il maggior merito nell’aver favorito la nascita di Leopoldo, chiamano perciò come giudice Giove (Antonio Manna), che assegna la vittoria alla Primavera. Il successo della rappresentazione fu strepitoso e la serenata venne replicata per altre due sere. Una “veduta della scena” di questa rappresentazione, di cui fu artefice Cristoforo Schor, è rimasta immortalata nell’incisione contenuta nel libretto, che qui riproduciamo.
...
Della morte di Aurora Sanseverino abbiamo notizia da un laconico comunicato pubblicato sul «Mercurio storico e politico», nella corrispondenza da Napoli del luglio 1726: «La duchessa di Laurenzano è morta nel suo feudo di Piedimonte d’Alife». Sulla scorta di questa indicazione abbiamo potuto rinvenire l’atto di morte nell’archivio della parrocchia di S. Maria Maggiore di Piedimonte, di cui faceva parte il palazzo della duchessa. Possiamo così precisare che la sua morte risale al 2 luglio 1726 e che Aurora venne inumata il giorno seguente nella chiesa dell’Immacolata Concezione di Piedimonte.[50] «Le pompe funebri» per la morte della duchessa di Laurenzano vennero pubblicate tre anni dopo nel volume miscellaneo Il Caprario,[51] che contiene scritti degli affiliati all’omonima accademia, fondata a Formicola dal principe di Colobrano Francesco Carafa, intimo amico di Aurora. Di questa accademia fecero parte anche Nicolò Giuvo, Ferdinando Carafa de’ principi di Belvedere e Ippolita Cantelmo Stuart sopra citati.[52]
...
Nell’agosto 1741, all’età di 79 anni, anche Nicola Gaetani morì [53] e, come scrisse il De Dominici «con la morte del duca, rimase sepolta la gloria di quella casa, giacché poteva dirsi estinta dacché mancò la sua magnanima sposa».[54]
Ausilia Magaudda & Danilo Costantini
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[1] Cfr. Gimma, Marrocco,
Scherillo2.
[2] Cfr.Vico2, Vico3, de
Dominici2, Quondam.
[3] Per informazioni sulle
caratteristiche di questo settimanale stampato durante i secc. XVII e XVIII,
cfr Magaudda - Costantini3, Magaudda - Costantini9.
[4] Cfr. Sartori. Noi stessi
abbiamo realizzato un indice dei dedicatari e dei nomi contenuti nelle dediche
e nelle prefazioni ai libretti riguardanti il Regno di Napoli.
[5] Cfr. corrispondenza.
[6] Cfr. lettera, relatione,
gratulatio.
[7] I primi ad occuparsi della
Sanseverino in veste di committente musicale sono stati Antonello Furnari e
Carlo Vitali nel loro interessantissimo articolo Händels Italienreise...(Furnari
- Vitali1. Ringraziamo Eliana Assenza per averci gentilmente fornito
un’eccellente traduzione di questo scritto). I due studiosi hanno incentrato il
loro lavoro all’identificazione della Sanseverino come committente dell’Aci e
Galatea di Händel, smentendo la tradizione storiografica, che voleva come
committente e, forse, come librettista, il viceré cardinal Grimani.
[8] Saponara è l’ attuale
Grumento Nova, in provincia di Potenza. All’epoca apparteneva alla provincia di
Principato Citra ed era la capitale degli “stati” del principe di Bisignano,
oltre che sede della sua corte. Avendo il principe molti possedimenti in
Calabria, dove era anche Bisignano, alcuni contemporanei della Sanseverino
parlano erroneamente di Saponara come di un luogo della Calabria.
[9] Cfr Gimma, p. 331.
[10] Cfr. Pecorone, di cui è in
corso di preparazione l’edizione critica a cura di Stephen Shearon. Alle pp. 4
e 5 il Pecorone si definisce «vassallo fortunato dell’ eccellentissima casa del
principe di Bisignano [...], la quale, per antichissimo retaggio, è stata ed è
[...] l’ asilo de’ virtuosi e de’ savi uomini».
[11] Sempre nelle memorie
racconta di aver preso parte, assieme al soprano Domenico Gizzi e al contralto
Domenico Florio, alle esecuzioni musicali che ogni anno, il 2 aprile , si
tenevano a Napoli nella chiesa di S. Luigi di Palazzo in occasione della festa
di S. Francesco di Paola, celebrata «a proprie spese [...] per sola divozione
[...] dalla carità e pietà dell’eccellentissima casa di Bisignano» con la
partecipazione di «più cori di musica».(Pecorone, p.77). Come è riportato nella
gdn, queste esecuzioni avvenivano alla presenza del viceré, che vi andava a
tenere cappella reale. Cfr ad es. la descrizione del l4 apr. 1711:
«Trasportarosi [sic] dalla Settimana Santa nel giorno di ieri la festività del
glorioso patriarca de' Minimi S. Francesco di Paola [2 aprile]; se ne celebrò
la solennità con [...] scelta musica [...] nella sua chiesa di S. Luigi, ove
[...] tenne S. E. [il viceré] cappella reale [...], vi furono cantati a 4 cori,
da sceltissime voci ed istrumenti, i due vesperi, composti da Giuseppe de
Bottis, maestro di cappella della principessa di Bisignano, Pignatelli, per
particolar divozione della medesima a detto Santo». La principessa di Bisignano
in questione è Stefania Pignatelli de’ duchi di Monteleone, moglie di Giuseppe
Leopoldo Sanseverino, fratello di Aurora. E’ chiaro a questo punto che i
festeggiamenti avvenivano a spese della famiglia Sanseverino, con la
partecipazione di Giuseppe de Bottis, che, nella gdn, è citato altre due volte
come maestro di cappella del principe (cfr. 29 dic. 1711, 16 giu. 1716 in
Magaudda - Costantini9). Il mecenatismo musicale dei principi di Bisignano può
essere documentato anche per gli anni successivi: al principe Luigi Sanseverino,
figlio di Giuseppe Leopoldo, sono dedicate le commedie in musica Lo frate
nnamorato di Pergolesi, rappresentata al teatro dei Fiorentini nel 1732
(Sartori, n. 11013) e nel 1734 (Sartori n. 11014), L’Odoardo di Jommelli,
rappresentata al teatro dei Fiorentini nel 1738 (Sartori n. 16896) e
L’innocenti gelosie di Giuseppe Sellitti, rappresentata al teatro Nuovo nel
1744 (Sartori n. 13280). Il suo maestro di cappella, nel 1751, era Gregorio
Sciroli, autore della commedia per musica Il Corrivo, rappresentata in
quell’anno al teatro dei Fiorentini (Sartori n. 6691). Nel 1750 il cantante
Antonio Amati è definito suo “virtuoso” (cfr. Sartori n. 653). A Pietro
Antonio, conte di Chiaromonte, sono dedicate le commedie per musica L’Ippolita
di Nicolò Conti, rappresentata al teatro dei Fiorentini nel 1733 (Sartori n.
13618), Ciommetella correvata di Nicola Logroscino, rappresentata al teatro
della Pace nel 1744 (Sartori n. 5635) e La finta cameriera di Gaetano Latilla,
rappresentata al teatro Nuovo nel 1745 (Sartori n. 10429).
[12] Scherillo1, I, n. 1, p. 4.
[13] Abbiamo potuto ricavare
l’età del duca dalla gdn, 29 ago. 1741, che riporta la notizia della sua morte,
avvenuta all’età di 79 anni. Questa affermazione concorda con quella riportata
in relatione, in cui è scritto: «la sua età non trascende di molto il quarto
lustro» (p. 4). Risulta quindi errata la data di nascita in Spera, secondo il
quale, all’epoca del matrimonio, il duca avrebbe avuto 42 anni.
[14] Cfr. Spera, p. 200.
[15] Cfr. a questo proposito
relatione, in cui è un’accuratissima descrizione del feudo di Saponara e dello
splendido palazzo del principe di Bisignano, da lui stesso fatto ristrutturare
(cfr. Pecorone, p. 7). Dell’arredamento facevano parte quadri del Giannone,
detto «l’Apelle della Lucania», del cavalier Giacomo Farelli, del Colimodio, di
Guido e lavori dello scultore «Carlo Solario milanese, che si ritrova
attualmente a’ servigi del signor principe» (relatione, pp. 17, 48).
[16] Bianconi non esclude
l’ipotesi che l’autore del libretto possa essere stato lo stesso principe Carlo
Sanseverino (cfr. p. 33, nota 111).
[17] Giovanni Bonaventura
Viviani (Firenze 1638 - Pistoia? dopo il 1692) doveva essere allora un
musicista piuttosto importante, perché, dopo essere stato per alcuni anni
violinista nella cappella di corte a Innsbruck, era poi divenuto maestro di
cappella dell’imperatore (1671 - 1676).
[18] Bianconi ha individuato in
Juan Bautista de Villegas l’autore dell’originale spagnolo (cfr. ibid.).
[19] Cfr. il frontespizio del
libretto in Appendice A, n. 5.
[20] Probabilmente Carlo
Sanseverino, che aveva relazioni con la Sicilia, essendo sposato con la
trapanese Maria Fardella Gaetani, era venuto a contatto con questi musicisti
durante il suo soggiorno palermitano.
[21] Tenore nella cappella
musicale di Monreale, interpretò la parte di Gildo nell’opera Il Pompeo di
Alessandro Scarlatti, eseguita a Palermo nel 1690 (cfr. Sartori n. 18945)
[22] Sull’attività teatrale di
Giuseppe Canavese cfr. nota 72. Con questo cantante Aurora rimase in contatto
anche negli anni successivi. E’ infatti citato più volte in corrispondenza.
[23] Potrebbe trattarsi dello
stesso personaggio citato dal De Dominici, contrabbassista, parente di
Alessandro Scarlatti, implicato dal 1708 nella gestione del teatro dei
Fiorentini e contrabbassista nella Cappella Reale di Napoli dal 1707 al 1714.
Cfr. Bianchi -Pagano pp. 33, 78, 153, 159, 172, 196, 205, 211, Cotticelli -
Maione1, pp. 17, 19, 29, 118, 123, 127, 129, 131, 132, 134, Cotticelli -
Maione2 pp. 101, 102, 123 n, 125 n, 362, de Dominici2, p. 557, Prota Giurleo1,
pp. 66, 72, 82, 92.
[24] relatione, pp. 50-52.
[25] Cfr. arcadi, p. 171. Per la
sua attività di poetessa, autrice di egloghe, canzoni e sonetti, cfr. Marrocco
e Giannantonio. Aurora Sanseverino ebbe anche il merito promuovere la
pubblicazione (Firenze, Cillenio Zacelori, 1725, ma in realtà Napoli,
Ciccarelli, 1724), del Commento di Giovanni Boccaccio alla Commedia di Dante
Alighieri, che (cfr. gli, XXXVII, 1725, pp. 470-473 e XXXVIII, 1727, pp.445-446
[26] Non è certo che la sede
napoletana in cui Aurora organizzava i suoi salotti fosse quella di palazzo
Sanseverino, in quanto Nicolini non specifica la fonte della notizia. Anche la
gdn è ambigua a questo proposito, perché, quando parla di spettacoli
organizzati dai duchi di Laurenzano a Napoli, dice che questi avevano sede «nel
loro palazzo», «al palazzo della signora D. Aurora Sanseverino duchessa di
Laurenzano» o «in casa del duca di Laurenzano Caietano» (Cfr. Appendice C, nn.
91, 93, 98).
[27] A questi versi fa anche
riferimento Gimma, p. 336: «tratto dalla dolce violenza che gli han fatta le
chiare virtù sue D. Paolo di Sangro, duca di Torre Maggiore, pubblicò dalle
stampe di Napoli le Rime in sua lode con molti sonetti e canzoni senza mai
allontanarsi dalla modestia e dalla onestà, celebrando quanto di raro e
d’impareggiabile in lei dal mondo tutto si ammira». Più avanti però, le
attenzioni di questo personaggio si rivolsero ad un’altra nobildonna, Angela
Cimino, marchesa della Petrella, che aprì il suo salotto culturale, frequentato
anche da Giovanni Battista Vico, intorno al 1724: «[...] dopo avere in gioventù
eletta a dama dei suoi pensieri Aurora Sanseverino, aveva ora destinata al
medesimo ufficio la Cimmino, a cui indirizzava i suoi morali capitoli, pieni di
maschia e cristiana sapienza» (Vico2, pp. 175-176 e Vico3, p. 174). Scrisse
componimenti poetici per la miscellanea vari componimenti3 (cfr. Vico3, p.
312). Paolo di Sangro è noto anche in ambito musicale per essere stato il
protettore di Leonardo Vinci, che, tra il 1719 e il 1721, fu il suo maestro di
cappella e l’insegnante del nipote Raimondo. (Cfr. gdn 25 apr. 1719, Sartori,
n. 5349 e infra, nota 269). Dal 1707 divenne consuocero della Sanseverino.
[28] Bologna1. Anche se molti studiosi
hanno messo in rilievo la scarsa attendibilità delle notizie ivi contenute
(cfr. Prota Giurleo2), il testo di De Dominici rimane una fonte insostituibile.
[29] Su Raimondo e Giovanni
Paolo De Dominici cfr. Bologna2 e Pezzotti.
[30] Tra i dipinti erano quadri
di Onofrio Loth, Gaetano Cusati, Teresa del Pò, Paolo de Matteis, Domenico
Brandi, Bernardo De Dominci. Quest’ultimo, che nel suo libro tratta solo dei
pittori nati nel Regno di Napoli o che vi hanno lavorato direttamente, non cita
però i quadri dei pittori più importanti, presenti nella residenza di
Piedimonte. Di questi ci dà invece notizia Michele Luigi Muzio, che elenca
quadri di Salvator Rosa, Perugino, Luca Giordano, Guercino, Guido Reni,
Tiziano, Caravaggio, Annibale Carracci, Paolo Veronese, Giorgio Vasari, Mattia
Preti, Antoine van Dyck, Pietro Paolo Rubens, oggetti disegnati da Giulio
Romano e Cristoforo Schor, etc. (cfr. lettera). Ricordiamo in particolare la
descrizione «del bel quadro dell’Aurora dipinto [da Francesco Solimena] al
serenissimo Elettor di Magonza; avendola finta in atto di essere abbigliata
dall’ore compagne, nel mentrecché da vari amorini se gli prepara il carro, che
si vede tra le nuvole più lontane, assistendovi l’ore e i momenti in forma di
giovanetti con ali di farfalle, e nel basso vedesi il letto sul quale in un
bellissimo scurcio è la figura del vecchio Titone, che sorgendo si rivolge alla
moglie, difendendosi con la sinistra dalla di lei luce, nel mentreché col
destro braccio appoggiato sul letto fa forza di sollevarsi da quello. A
sinistra è la fatiga ignuda in piedi e con musicali istromenti si dimostra
pronta al diurno lavoro. A diritta del quadro vedesi il sonno, che cade dal
letto, e l’ore notturne veggonsi poste in fuga al comparir dell’Aurora» (de
Dominici2, p. 595). «Questo medesimo soggetto replicò il Solimena in un
ottangolo per D. Aurora Sanseverino duchessa di Laurenzano, per alludere al di
lei nome e per dargli un saggio della stima ch’ei faceva di sua virtuosa
persona, poiché molto pregiavasi della buona amicizia di quella gran dama, che
era l’oggetto delle lodi di tutti gli uomini scienziati e dell’amore del
pubblico» (ivi, pp. 596-597). Per la Sanseverino il Solimena, che era anche
letterato, compose un sonetto, «solennizzandosi il giorno natalizio di quella
dama a’ 28 di aprile con varie poesie di vari letterati soggetti». Della
“virtuosa dama” il pittore aveva una grande stima, «veggendo essere in lei una
soda virtù nella moral filosofia e una perfetta cognizione delle scienze, e più
nella poesia; come si vede da i di lei sonetti, che vanno stampati in diverse
raccolte, sotto nome di Lucinda Coritesia» (ivi, p. 622-623). Alcuni quadri
provenivano per eredità dalla collezione romana di mons. Gregorio Giuseppe
Gaetani, zio di Nicola (cfr. de Dominici1, tomo II, p. 291, Appendice C, n.
11).
Tra le sculture e gli oggetti preziosi
presenti nella residenza di Piedimonte il De Dominici ricorda «un ben lavorato
camino nella stanza della duchessa D. Aurora Sanseverino», fatto da Domenico
Catuogno, incaricato di «abbellirsi il palazzo ducale a Piedimonte» (ivi, pp.
475-476) e «una gran saliera d’argento, alta più di cinque palmi [...],
lavorata da Giovanni Domenico Vinacci et ideata da Luca Giordano». Di questa
saliera il De Dominici fornisce un’accurata descrizione, dicendo che «era
posseduta da D. Nicolò Gaetano dell’Aquila d’Aragona, degno duca di Laurenzano,
che ne’ conviti magnifici, che far solea la sua generosa consorte D. Aurora
Sanseverino, che poté giustamente chiamarsi eroina de’ nostri tempi, era
esposta nel mezzo della gran tavola, per recar maraviglia e diletto a’
convitati per la stupenda struttura e gran ricchezza di argento da
considerarsi. Ma dopo la morte di questi magnanimi principi (che io ebbi in
sorte per loro bontà servire per molti anni in qualità di pittor di paesi,
marine e bambocciate, tuttocché deboli pel mio poco sapere) non so che ne sia
accaduto della bella saliera e se abbia cambiato padrone» (ivi, p. 165). Su
questa saliera cfr. anche lettera.
[31] Giacomo Boncompagni
(1652-1731) era figlio di Ugo, duca di Sora e di Maria Ruffo de’ duchi di
Bagnara. Fu arcivescovo di Bologna dal 14 apr. 1690 e cardinale dal 2 genn.
1695. Cfr. Furnari - Vitali1, p. 46, nota 12 e Coldagelli.
[32] Giuseppe Canavese all’epoca
doveva essere un cantante molto noto. Secondo i libretti superstiti aveva
cantato a Pratolino nel 1684, a Modena nel 1688 e a Ferrara nel 1691 (Cfr.
Sartori, indice dei cantanti). Nel libretto dell’opera Creonte tiranno di Tebe,
rappresentata al S. Bartolomeo di Napoli nel 1699, in cui interpretò la parte
del protagonista, è definito «virtuoso del principe di Toscana» (ivi, n. 6889),
titolo del quale si fregiò anche in altri libretti (cfr. ivi, nn. 14306, 21754,
21755).
[33] Su Nicola Paris, detto
“Nicolino di Brunsvic”, così denominato per essere stato al servizio del
principe Ernesto Augusto di Braunschweig a Luneburg, cfr. deumm, alla voce, e
Appendice F.
[34] Su Giulio Cavalletti cfr.
Riepe - Vitali. Il Cavalletti aveva studiato a Bologna con Colonna e forse con
Pistocchi, aveva fatto parte dell’Accademia Filarmonica e della Cappella di S.
Petronio e aveva cantato in opere di Perti. Per questi motivi conosceva bene il
compositore, con il quale rimase in contatto epistolare anche dopo il 1703,
quando ebbe fine il suo servizio presso i duchi di Laurenzano. Cfr. a questo
proposito le lettere scritte dal Cavalletti al Perti da Barcellona
(corrispondenza, 20 ott. 1709 e 10 dic. 1710, P. 145. 81 e P. 145. 98,
pubblicate in Riepe, pp. 222-225). Durante il periodo trascorso al servizio
della Sanseverino (1698-1703), il Cavalletti fece spesso da tramite tra questa
e il Perti.
[35] corrispondenza, 16 nov.
1698 (K. 44. 2. 223).
[36] Sulle origini del culto
della Madonna dei sette Dolori cfr. Magaudda - Costantini7, Magaudda -
Costantini8, Tedesco.
[37] Cfr. Appendice D, n. 17.
[38] Cfr. Degrada2, pp. 267-268.
I rapporti di Pergolesi con la congregazione sono anche attestati dal fatto che
negli ultimi anni della sua vita il suo protettore era proprio quel duca di Maddaloni
che finanziava le annuali cerimonie in onore della Vergine Addolorata nella
chiesa dei PP. Serviti. In occasione di queste celebrazioni furono eseguite
anche musiche dello stesso Pergolesi (cfr. degrada2, p. 261). Inoltre la sua
cantata Della città vicino, oggi conservata presso la Biblioteca del
Conservatorio «S. Pietro a Maiella» di Napoli, era in possesso di Luisa
Marianna de Luna, una probabile discendente dei de Luna qui citati. Ringraziamo
per la segnalazione il prof. Francesco Degrada.
[39] Cfr. Magaudda -
Costantini7.
[40] Cfr. Furnari- Vitali1.
[41] Per altri dati sul
matrimonio in oggetto cfr. Appendice C, nn. 61-65.
[42] Cfr. Furnari - Vitali1, pp.
45-50, Cotticelli - Maione2, p. 167-168.
[43] Della «stanza
degl’eccellentiss. signori sposi Pascale Gaetano e Maria Madalena di Croy»,
descritta particolareggiatamente nella lettera, esiste un’incisione, fatta fare
dal Muzio su disegno di Cristoforo Schor, pubblicata in Cappellieri, p. 153.
[44] Abbiamo trovato vari altri
documenti, che attestano l’uso di strumenti definiti “tedeschi” o “all’alemana”
nel Regno di Napoli nel periodo della dominazione austriaca. La presenza di
«flauti ad uso germano», in particolare, cambia il quadro di riferimento
sull’uso del flauto traversiere, finora ritenuto uno strumento pressoché
sconosciuto ai napoletani in questo periodo. Su questo argomento ci
ripromettiamo di tornare con uno studio apposito.
[45] Molti di questi poeti
appartenevano alla Colonia Sebezia. Cfr. Minieri Riccio2, pp. 40-43. Tra questi
Simone Barra, secondo Minieri Riccio aggregato con il nome di Carisio, aveva
svolto per qualche tempo le funzioni di segretario di Aurora (cfr. de
Dominici2, p. 711).
[46] Per l’occasione il Muzio
aveva realizzato «a Piedimonte una sede distaccata della sua tipografia “per
maggior comodità e soddisfazione” dei committenti» (Furnari - Vitali1, p. 44).
[47] Lo stampatore Michele Luigi
Muzio era in contatto con la Sanseverino già da parecchi anni, come dimostrato
dal fatto che, nel 1706, le aveva dedicato una ristampa della Gerusalemme
liberata del Tasso, nella versione in dialetto napoletano del poeta Gabriele
Fasano, già ricordato come frequentatore del salotto napoletano della duchessa.
In onore di Aurora aveva mutato le ottave quarta e quinta del primo canto con
le seguenti parole: «A tte dochessa mia granne e ssaputa/ Muzio sto
lebbretiello porta ‘n duono;/ Sì pe’ laudare a te s’è mbezzarruta/ La stampa, e
nn’ogne parte è posta ntuono,/ Puro li truocchie mieje nn’ogne mpremuta/ Sempre
m’hanno parlato ‘n chisto suono;/ Aie na patrona tanto prencepale,/ E no ll’aje
regalato manco sale?// Cossì decea la mente, e sempe a monte/ Jea lo penziero,
e de speranza niente;/ Ma laodato lo Cielo, ll’aggio ‘nfonte/ L’accasione, e
cierto va pe ciente;/ Ca si sto libro portaje primmo ‘n fronte/ Quanta stelle a
ssi siegge sò llociente;/ Vò la ragione ch’appriesso a sse stelle/ Io dia a
‘n‘AORORA chiste vierze belle» (Guiscardi, p. 2).
[48] Cfr. Appendice A, n. 50 e
Appendice C, n. 91.
[49] Lo si deduce dalla lettura
della gdn (cfr. Magaudda -Costantini9). E’ significativo il fatto che il lavoro
fu replicato nello stesso anno a Palazzo Reale (novembre 1716) e a Vienna
(Bianchi - Pagano, p. 373.
[50] Cfr. Basilica pontificia di
S. Maria Maggiore di Piedimonte, Liber mortuorum. Ringraziamo mons. Francesco
Piazza, che gentilmente ha rintracciato l’atto di morte e ce ne ha trasmesso la
fotocopia, che qui riproduciamo.
[51] Cfr. caprario1, p. 421.
[52] Cfr. caprario1, caprario2,
Marrocco, p. 153, Minieri Riccio1, pp. 31-33.
[53] Cfr. Appendice C, n.111.
[54] de Dominici2, p. 711.