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Aurora Sanseverino

 

Biografia

di Michele Giugliano

N.1. – La vita.

 

image001Aurora Sanseverino[1] nacque a Saponara, oggi Grumento Nova (Potenza), il 28 aprile 1667[2], da Carlo Maria, principe di Bisignano e da Maria Fardello principessa di Pacecco; morì a Piedimonte (oggi Piedimonte Matese), il 2 luglio 1726.

 

Le fu dato il nome di Aurora forse perché in un famoso dipinto del tempo, eseguito dall’abate Giovanni Ferro ed intitolato “L’Aurora”, era raffigurata una bellissima fanciulla che spargeva fiori sul mondo. 

 

Fin da bambina mostrò intelligenza sveglia e carattere tenace, tanto da indurre i genitori a coltivare queste doti.

Suo padre era appassionato di letteratura, pittura e musica, al punto da far costruire nel suo palazzo, abbellito ed ampliato, addirittura un teatro.

Così ella, sulle orme paterne, si avviò agli studi, sotto la guida di ottimi precettori.

Studiò varie discipline, fra cui il latino, la filosofia e la storia, mostrando grande passione per la poesia e la musica.

Sposò, il 25 dicembre 1680, il conte Giangirolamo Acquaviva di Conversano, il quale morì nel settembre dell’anno successivo, lasciandola senza figli.

Tale perdita causò in lei grande sofferenza.

A Napoli conobbe, e poi sposò il 28 aprile 1686, Nicola Gaetani dell’Aquila d’Aragona [3].

Le nozze, fastosissime, avvennero nei feudi paterni della Basilicata.

Durante la cerimonia il padre della sposa fece rappresentare, nel teatro del suo palazzo, il dramma pastorale “Eliodoro”.

 

A quei tempi, a Napoli, vivevano studiosi di letteratura italiana e latina, di filosofia, giurisprudenza, generalmente di medio livello.

Questi personaggi si incontravano in eleganti salotti.

 

Tra essi vi era anche Aurora, bellissima dama aristocratica, che già aveva scritto rime poetiche, che le avevano fatto meritare simpatia ed apprezzamento generale.

 

Intanto, nel 1690, a Roma, era nata un’Accademia letteraria, chiamata Arcadia, costituita da un gruppo di letterati che, inizialmente, si riunivano in salotti aristocratici romani [4].

L’intenzione era di opporsi alla poesia artificiosa, auspicando un ritorno al classicismo e ad una poesia ispirata a sentimenti veri.

Costoro assumevano nomi evocati dal mondo pastorale e venivano chiamati pastori arcadi.

 

In verità la poesia non raggiungeva grandi livelli in quei ricchi signori; tuttavia l’iniziativa favorì incontri fra personaggi diversi e quindi portò un reale sviluppo della cultura (limitatamente a quelle categorie di privilegiati).

 

Anche Aurora s’iscrisse all’Accademia dell’Arcadia di Roma (anno 1695, 214.ma iscritta) ed assunse il nome di Lucinda Coritesia, Pastorella Arcade. 

Poiché anche il marito Nicola apparteneva alla stessa Accademia, fra i due vi era armonia e unità di vedute.

 

In seguito, Aurora fece parte anche:

 

1)    della Colonia Arcadica Sebezia di Napoli,

2)    dell'Accademia degli Spensierati di Rossano (Cosenza),

3)    dell’Accademia degli Innominati di Bra (Cuneo), con il nome “La Perenne”.

 

Ella riceveva regolarmente gli iscritti a queste Accademie nel suo salotto di casa Gaetani, a Port’Alba, Napoli.

 

Solitamente Aurora viveva a Napoli, ma spesso veniva anche a Piedimonte, nel Palazzo Ducale della famiglia Gaetani.

Per suo volere, questo Palazzo subì una profonda ristrutturazione, diventando più elegante e raffinato.

 

Accanto al Palazzo fu costruito, ancora per suo desiderio, un piccolo teatro, nel luogo ove precedentemente era il seggio comunale, comunicante internamente con il Palazzo stesso.

 

Nel 1699 in quel teatro vi fu rappresentata, per la prima volta, una commedia, di autore ignoto, dal titolo “Marte e Imeneo”, con prologo musicato dal bolognese Giacomo Antonio Perti. La stessa Aurora vi partecipò, recitandovi una parte.

 

Nel 1707, ancora in quel teatro, fu rappresentato un melodramma di Giuvo - Fago dal titolo “Il Radamisto”.

 

Nel 1711 vi fu addirittura una stagione lirica.

 

Nello stesso teatro, o in altri saloni, furono rappresentati melodrammi e serenate.

 

Vi furono rappresentate, in particolare, le opere “Semèle” di Giuvo – Mancini, la “Cassandra indovina  di Giuvo – Fago  e tre serenate: la prima di Perti, la seconda di N. Porpora e la terza di Händel (dal titolo “Aci, Galatea e Polifemo”).

 

Tra le attività della poetessa vi era anche la caccia al cinghiale nei monti del Matese.

 

Aurora era molto bella e slanciata, aveva i capelli ricci, ma allo stesso tempo doveva essere una donna energica, guerriera, se era in grado di ammazzare i pericolosi cinghiali. 

 

Ebbe due figli: Cecilia [5] e Pasquale, i quali morirono entrambi prima dei genitori.

 

Alla morte, Aurora fu seppellita nella Chiesa dell’Immacolata Concezione (detta anche della SS. Concezione di Maria) dei Chierici Regolari Minori, presso il Convento Madonna delle Grazie (alle falde del monte Cila), da lei fatto edificare [6].

 

 

 

N. 2. – Le opere di bene.

 

Ricordiamo, brevemente, le opere di bene che Aurora realizzò in Piedimonte.

Ella fece edificare:

 

1)    Il conservatorio delle orfane, grande edificio al Largo San Sebastiano, fondato nel 1711, dotato con 500 pecore e affidato alla Confraternita di S. Maria Occorrevole[7].    

2)    Il convento e la Chiesa dell’Immacolata Concezione.

 

    

N.3. – La poesia.

 

Come dicevo più sopra, i poeti arcadi non raggiungevano alti livelli nella poesia, tranne alcuni.

Fra questi ultimi lo storico Prof. Dante Marrocco (v. Bibliografia) include Aurora.

I suoi scritti, costituiti da poesie e testi per musiche, sono composti, ovviamente, secondo lo stile dei poeti arcadici ma (sempre secondo Marrocco) se ne differenzierebbero alquanto per i sentimenti espressi, la vivacità e la sincerità.

 

Nella composizione delle sue poesie Aurora seguiva, come riferiscono gli studiosi, i modelli di Petrarca, Della Casa e Criscimbeni.

 

Le sue opere sono contenute nelle raccolte poetiche:

 

1.    AA.VV. Rime degli Arcadi (Roma, 1716 e 1736);

2.    L. Bergalli: Componimenti poetici delle più illustri rimatrici; 1726;

3.    Campora: Raccolta di rime di illustri napoletani; Napoli, 1701;

4.    Gobbi: Scelta di sonetti e di canzoni, Venezia, 1739;

5.    Rossi: Florilegio femminile, Genova, 1840;

6.    AA.VV., Rime degli arcadi aggiunte a quelle dei coniugi Zappi, Venezia, 1736.

 

Bisogna ricordare, inoltre, che ella era appassionata anche di musica e canto, ed era in costate contatto con il musicista Giacomo Antonio Perti, a cui dava i testi delle sue cantate per la musica.

Si serviva spesso, per le sue rappresentazioni teatrali, anche dell’opera di famosi compositori, quali A. Scarlatti ed N. Giuvo.

 

Per quanto riguarda il valore delle sue composizioni poetiche (poesie e testi per musica), personalmente non esprimo giudizi (è compito del Lettore…).

Tuttavia, fra le poesie che ho letto una mi è sembrata particolarmente espressiva, poiché manifesta notevole sensibilità della poetessa: è il sonetto “Poveri fior !”.

 

Ne riporto il testo:

Poveri fior !

 

Poveri fior! destra crudel vi coglie,

v'espone al foco, e in un cristal vi chiude.

Chi può veder le violette ignude

disfarsi in onda, e incenerir le foglie!

Al giglio, all'amaranto il crin si toglie

per compiacer voglie superbe e crude,

e giunto appena aprile in gioventude

in lagrime odorose altrui si scioglie.

Al tormento gentil di fiamma lieve

lasciando va nel distillato argento

la rosa il foco, il gelsomin, la neve.

Oh di lusso crudel rio pensamento!

per far lascivo un crin vuoi far più breve

quella vita, che dura un sol momento.

 

         Lucinda Coritesia

Pastorella Arcade.

 

Occorre precisare che, indipendentemente dal valore obiettivo delle sue composizioni poetiche, Aurora ha il grande merito di essere stata una mecenate, una instancabile committente di musiche e testi per musiche.

 

Infatti ella, dopo il matrimonio con Nicola Gaetani, ospitava, insieme con il marito, nel suo salotto di Napoli [8] e in quello del palazzo Sanseverino di Bisignano [9], poeti, scrittori, musicisti, pittori e uomini di cultura, venuti anche da lontano per colloquiare con lei.

 

In tal modo riusciva a coinvolgeva nella sua attività artistica personaggi diversi i quali, a loro volta, si avvicinavano all’arte o, quanto meno, diventavano anch’essi mecenati e committenti di opere d’arte.

 

Senza alcuna pretesa di giudizio, dobbiamo comunque osservare che le sue poesie sono dominate da un certo senso di malinconia che, specie negli ultimi anni di vita, erano la manifestazione di una grande sofferenza interna, dovuta spesso alla lontananza del marito.

 

Del resto la poetessa, pur avendo avuto molti privilegi dalla vita, aveva pur sempre sofferto tanto: per la morte del primo marito e dei suoi figli.

 

Per tali ragioni ella, diversamente da altri poeti arcadi, appare più spontanea, più vicina alla gente che soffre, quindi più predisposta alla pietà e alla carità verso il prossimo, come si nota nel sonetto di sopra, nel quale esprime tanta pietà per i poveri fiori.

 

 

3.1. – Altri versi di Aurora

Riporto un altro sonetto di Aurora, che mostra la sofferenza e la gelosia d’amore per il marito lontano, il quale forse rivolge le sue attenzioni ad altre donne.

 

       Ben son lungi da te, vago mio Nume,

qual per mancanza di vitale umore

arida pianta, qual senza vigore

palustre augel con basse, e tarde piume;

Ben son lungi da te, qual senza lume

notte piena di tenebre, e d'orrore:

ben son lungi da te, qual secco fiore,

cui soverchio calore arda, e consume.

In te, mia vita, han posa i miei desiri:

or se da te tant'aria si diparte,

qual pace troveran gli aspri martiri?

Ahi dunque, è ben ragion, che in mille carte

sfoghi sue angosce in lagrime, e sospiri

quest'alma, che si strugge a parte a parte.

 

 

N. 4. – Bibliografia.

 

[1]         Marrocco Dante, L’Arcadia nel Sannio: Aurora Sanseverino, nella rivista “Samnium”, Benevento, 1952, I.

[2]         Marrocco Dante, Aurora Sanseverino Gaetani, in Annuario 2000, Associazione Storica del Medio Volturno, edizioni ASMV, Piedimonte Matese.

[3]         Marrocco Raffaele, Niccolò Gaetani e Aurora Sanseverino, in Archivio storico del Sannio Alifano, 1919.

[4]         Barbiero Anna, Arte e Storia nel Palazzo Ducale di Piedimonte Matese; Libri di Arte Scienza e Cultura della Banca Capasso Antonio S.p.A. III; anno 2000.

[5]         Mazzarella Andrea da Cerreto, A. Sanseverino, in Biografie di uomini illustri del Regno di Napoli, Vol. II, pag. 153 ss, Napoli, 1814.

[6]         Crescimbeni G. M., L’istoria della volgar poesia, edizione1698 e 1714; id.: L’Arcadia, edizione 1711.

[7]         Ferri P., Biblioteca femminile italiana, p. 239, Padova, 1842.

[8]         Gimma Giacinto, Elogi accademici della Società degli Spensierati di Rossano, Napoli, Carlo Troise, 1703.

[9]         Giugliano Michele, Aurora Sanseverino poetessa, in Annuario 2003 dell’A.S.M.V., A.S.M.V. Editrice, Piedimonte Matese, 2004;

[10]     Giugliano Michele, Aurora Sanseverino Gaetani poetessa (1667-1726), Ed. A.S.M.V., Ristampa a cura di Giulia d’Angerio – Pastore, Poligrafica Terenzi, 2004.

[11]     Magaudda Ausilia e Costantini Danilo, Aurora Sanseverino (1669-1726) e la sua attività di committente musicale nel Regno di Napoli. Con notizie inedite sulla napoletana congregazione dei sette Dolori, in Giacomo Francesco Milano ed il ruolo dell’aristocrazia nel patrocinio delle attività musicali nel secolo XVIII, atti del Convegno Internazionale di Studi (Polistena - S. Giorgio Morgeto, 12-14 ottobre 1999), a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 2001, pp. 297-415.

 

  

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[1] L’immagine è tratta da un quadro di Francesco Solimena (1657-1747), pittore e architetto italiano.

[2] Molti e celebri Autori, come anno di nascita, riportano il 1669 (v. Magaudda & Costantini, pag. 1; Gimma, pag. 331).

[3] Allora era conte di Alife ma poi, dopo la morte del padre, divenne duca di Laurenzana e infine, il 2-9-1715, primo principe di Piedimonte. Era nato il 6 giugno 1657; morì il 17 agosto 1741.

[4] In seguito questa Accademia si diffuse in tutta l’Italia.

[5] Sposò, il 20-6-1706, Antonio di Sangro ed ebbe un figlio che fu chiamato Raimondo. Morì, ancora giovane, nel 1711.

[6] Il 30 agosto 1985 avvenne la esumazione del corpo e le ossa di Aurora furono trasferite altrove (forse a Roma).

[7] L’Istituto durò circa 30 anni e dopo fu trasformato in lanificio.

[8]   a Port’Alba

[9] in via Costantinopoli, sempre a Napoli.