Museo - Summary

 

Introduzione al Catalogo del Museo Alifano Parte II - Le Monete, 1995

(Con aggiunte per la II edizione)

 

 

L’istituzione del museo “Campano-Sannita” già Civico (detto, in seguito, Alifano e recentemente di nuovo Civico) a Piedimonte Matese, da parte del prof. Raffaele Marrocco, risale al 1913[1]. Esso fu solennemente inaugurato nel Giugno del 1923, presso il primo piano dell'ex monastero di San Salvatore; nel 1927 fu trasferito nei locali (già adibiti agli uffici della Sottoprefettura) del convento domenicano intitolato a San Tommaso d’Aquino[2]. Sotto l’auspicio del motto colligite ne pereant, nel corso degli anni vi era affluita gran parte del materiale archeologico scoperto nella zona[3].

Vi erano pure una vetrina geologica, contenente i fossili del Matese ed altre con le ceramiche cerretesi, i cimeli del Risorgimento ecc.

Disponeva, infine, di una piccola pinacoteca con tele di varia dimensione ed epoca e di una Bibliotheca Scriptorum Loci con pergamene, manoscritti e pubblicazioni di autori locali.

Già noto, anche per la pagina dedicatagli dal Supplemento (luglio-dicembre 1914) a “Le monete del Reame delle Due Sicilie” di Memmo Cagiati, ebbe, nel 1927, risonanza internazionale grazie all’archeologo dott. Amedeo Majuri il quale, dopo una visita sul posto, pubblicò in quell’anno negli “Atti della R. Accademia dei Lincei” lo studio su alcuni reperti provenienti dal monte Cila, avanforte del Matese, concludendo che: “… Nessun altro luogo potrebbe meglio offrire ad una esplorazione sistematica più copiosi e chiari documenti dello sviluppo delle civiltà preistoriche, di questo che deve essere uno dei più vetusti centri della civiltà italica nell’Italia meridionale”.

Superando non poche difficoltà, il direttore prof. Marrocco ne incrementò la dotazione con gli acquisti operati con il contributo del Comune di Piedimonte, delle amministrazioni provinciali di Benevento e Caserta, del Ministero della Pubblica Istruzione, del Banco di Napoli e di benemeriti privati cittadini.

Dopo i furti degli anni Sessanta e Settanta, il materiale superstite fu depositato, in parte, provvisoriamente, presso la Soprintendenza alle Antichità di Napoli[4].

Il catalogo generale del museo, redatto dal fondatore[5], era composto da 3 sezioni. Al 31 Dicembre 1934 risultavano inventariati:

1.      Oggetti di antichità n. 655;

2.      Monete n. 652;

3.      Oggetti medioevali e moderni n. 283.

I dati sui reperti numismatici, con numero progressivo identificativo, venivano dunque trascritti nella parte II e, annualmente fino al 1940, il direttore ne curava l’aggiornamento.

Per quanto riguarda i furti, il primo si verificò il 19 Aprile del 1917: i ladri furono arrestati e 307 monete (di cui 225 d’argento ed una d’oro) delle 390 sottratte vennero recuperate.

Negli anni successivi, stando ai dati, se ne deducono degli altri, ma non se ne ha notizia fino al 1945 quando alcuni militari portarono via, fra gli altri, “il pezzo più caratteristico della raccolta” e cioè il didramma d’argento di Alife che ancora oggi risulta noto solo attraverso qualche esemplare.

Dopo una paralisi durata un quarto di secolo, il museo riprese vitalità grazie soprattutto alla ricostituzione dell’associazione storica del Sannio Alifano sul cui annuario del 1966, e successivi fino al ’75, il direttore prof. Dante Marrocco pubblicò le relazioni “Sullo stato delle collezioni civiche, al fine di raccomandarne lo sviluppo e ringraziare i munifici donatori”.

Anche la televisione venne interessata per attuarne il rilancio.

Monete di epoca diversa trovate nella zona e soprattutto il rinvenimento, nell’entrata piccola della sorgente del Torano, di una stipe con 106 nummi imperiali romani accrebbero la collezione.

A quel punto ricominciarono le sventure! Durante la notte del 29-30 Agosto vennero forzate 3 vetrine ed asportate 14 monete d’oro insieme a tante altre in argento e in bronzo (alcune pre-romane, molte dell’impero, altre medioevali).

A distanza di pochi giorni, la notte del 3-4 Settembre, i ladri penetrarono di nuovo nei locali del museo portando via i due soldi d’argento del patriarca d’Aquilea Antonio I Gaetani e centinaia d’altre monete.

In meno di una settimana i 2/3 della collezione (488 pezzi catalogati) erano spariti per sempre.

Negli anni successivi, tramite nuove donazioni e rinvenimenti, si cercò di dare dignità alla collezione (da segnalare le 125 monete di epoca varia regalate dal rag. Carlo Riselli nell’Agosto del 1970 e le 64 recuperate dai finanzieri del Comando Brigata di Piedimonte Matese durante i lavori in Piazza Carmine nel Maggio ’72); ma gli sforzi vennero vanificati la notte del 25-26 Settembre 1973 quando, dopo l’ennesimo furto, la collezione, privata del rimanente, cessò di esistere.

L’elenco che viene pubblicato è la ricostruzione del catalogo originale attualmente irreperibile.

Le fonti che hanno reso possibile la compilazione sono:

*   Copia dell’elenco di monete allegato alla denunzia fatta ai carabinieri riguardo ai furti del 1966;

*   Targhette illustrative dei singoli pezzi esposti in vetrina;

*   Originale supplemento al catalogo per le monete entrate a far parte della collezione dal 1935 al 1940;

*   Altro (appunti, lettere, segni di riscontro apposti su cataloghi ecc.).

La mancata descrizione particolareggiata delle monete catalogate rende impossibile in molti casi (specialmente per il periodo imperiale romano) l’esatta identificazione delle stesse.

 

 

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[1] Cfr. Marrocco Raffaello, Memorie Storiche di Piedimonte d’Alife, 1926, pag. 198.

[2] Nel 1926, con l’abolizione dei circondari, gli ambienti della sottoprefettura rimasero vuoti, il museo fu sistemato nel piano inferiore di essa, riservato agli uffici e composto da un salone interno e varie salette che si affacciano nel cortile.

[3] Armi e monili neolitici, manufatti preistorici, vasellame di fattura greca e romana, bronzi, lapidi ecc.

[4] E’ in corso la pratica per il ritorno di tutto il materiale archeologico nella sede recentemente  ristrutturata.

[5] Il catalogo, presentato al podestà di Piedimonte il 6 Maggio 1935, venne da questi approvato con delibera n. 157 il giorno 11 dello stesso mese.