Museo-Summary

 

Raffaello Marrocco

 

I L    M A T E S E

Napoli

Editrice Rispoli Anonima

1940

 

Cap. I (pp. 11-23)

Sguardo generale

 

[…]

Il nostro massiccio sarebbe costituito, secondo il Dainelli, inferiormente da strati dolomitici, superiormente da calcarei spettanti al secondario superiore (cretaceo), e i terreni, che stanno di sopra a questa ossatura secondaria, apparterrebbero al terziario inferiore (eocene). Il Colamonico poi, ci parla anche della presenza di ghiacciai quaternari nella sezione mediana della zona settentrionale dell’altipiano.

Quasi tutti i terreni rinserrano fossili di varie specie. Si rinvengono dappertutto e perfino sul Miletto. Il “Museo Alifano” di Piedimonte possiede una discreta raccolta di tronchi di alberi pietrificati, rinconelle, conchiglie, testuggini, e, fra gli altri cimeli, un dente fossile di Carcarodonte, lo squaloide, che avrebbe preceduto il pescecane.

[…]

 

Cap. IV (pp. 87-105)

Le opere d’arte e di antichità                                 

 

Il Matese non è affatto privo di opere d’arte e di antichità anzi ne è dovizioso e da sole basterebbero a formare delle interessanti attrattive per il turista e per lo studioso. Qui è la tomba neolitica od una fortificazione poligonale, là il prospetto di una chiesa romanica od il motivo floreale in ferro battuto; qua la statuetta fittile protostorica od un portale durazzesco, altrove la freschezza di una maiolica o il coro intagliato cinquecentesco… E stele, statue, colonne, capitelli, ecc. stanno dovunque ad additare gloriose civiltà passate.

Boiano, Isernia, Alife, Faicchio, Telese, Morcone, Sepino e Piedimonte d’Alife, rappresentano dei centri ove più abbonda il materiale di antichità e d’arte. E dire che il Matese non è stato esplorato che in parte. Numerose zone archeologiche attendono ancora l’appassionato che squarci il pesante velo adagiatovisi da secoli. Qualcosa hanno già reso benemeriti studiosi; interessanti scoperte ha fatto l’illustre archeologo Amedeo Maturi; un lodevole sforzo hanno compiuto Piedimonte e Isernia, l’una con la fondazione del “Museo Alifano” l’altra con l’Antiquarium, ma quanto ancora resta da fare per conoscere il mistero preistorico, per avere cognizione dello sviluppo e dell’espansione della civiltà sannitica e romana, per studiare l’arte medievale e le arti minori che ebbero libero svolgimento in tutti i paesi matesini.

Ragioni di brevità non ci consentono una descrizione dettagliata delle singole opere, ma qualcosa dobbiamo pur dire per appagare la curiosità ed il gusto del lettore.

In Piedimonte, ad esempio, dove ci è un po’ di tutto, sono di singolare interesse le cennate mutazioni poligonali scaglionate lungo il pendio del Cila, costituite da imponenti avanzi. La struttura  del tipo primitivo, ben lontano dalla tecnica poligonale progredita, che si trova nelle cinte delle città laziali. I blocchi, di media grandezza, sono rozzamente tagliati nelle facce esterne, senza piani squadrati, conservando quelli di posa naturali. L’insieme delle mutazioni rappresenta un vasto sistema di difesa e di sbarramento verso l’altipiano del Matese e può riferirsi ad un periodo anteriore alla conquista sannitica della Campania, cioè ad un periodo in cui le popolazioni montane, dedite esclusivamente alla pastorizia, sentono ancora la necessità di asserragliarsi contro il pericolo d’invasioni dalla pianura.

A parte gli altri cimeli preistorici preromani e romani conservati nel “Museo Alifano”, e oltre alla famosa statuetta in bronzo – “Il Corridore” – interessante opera del V Sec. a. C. rinvenuta sul cila nel 1928, Piedimonte vanta pregevoli pitture di tardo trecento, rappresentate da numerose figurazioni affrescate nell’abside di S. Maria Occorrevole sul Monte Muto ricche di una intensa espressione di sentimento e verità.

Tardi riflessi dell’arte di Pietro Cavallini rivelano gli affreschi della Cappella di S. Biagio. Nella rappresentazione di episodi de Vecchio e del Nuovo Testamento, nonché della vita di S. Biagio, malgrado fossimo già nel primo quarto del Quattrocento, rivivono le forme dell’arte classica romana, piene di seduzione e di bellezza lasciate dal sommo maestro.

Da Fabrizio Santafede a Giuseppe Cesari, da Cosimo Fanzaga a Francesco Solimena, da Nicola Maria Rossi a Giuseppe Bonito, fino a Gioacchino Toma, tutta una copiosa manifestazione artistica si svolge in Piedimonte con opere di pregio.

Le grate ed il coro in legno dorato con fondo azzurro, di magnificente barocco, che adornano l’artistica Chiesa di S. Salvatore, la fontana a cascatelle, anch’essa barocca del Palazzo Merolla-D’Abbraccio (già Di Marco), la rosta coeva in legno intagliato dello stesso palazzo, il coro della Chiesa di S. Domenico e le icone secentesche della Chiesa di A. G. P. sono dei cimeli di considerevole interesse artistico.

Giù verso il piano, la città di Alife, un tempo così ricca di monumenti, conserva le sue quattro porte originarie, poste agli estremi del cardo e del decumano, con pilastri formati da grossi blocchi parallelepipedi; la cinta muraria imperiale con sovrapposizioni medievali consistenti in avanzi di bastioni e di torri; un lungo crittoportico sottostante il livello stradale; i resti dell’anfiteatro sottoposto al Palazzo Vessella in Piazza Vescovado e il grandioso “Colombario” a forma rotonda, costruito tra il I ed il II Sec. d. C., uno dei monumenti romani meglio conservato nell’Italia Meridionale. Il Duomo, rifatto su quello originario, ha la cripta ricca di colonne e di capitelli di epoca longobarda, e, nella navata di destra, l’arco di un portale romanico, situato un tempo all’esterno del Tempio. Ma Alife ha dato anche un ricchissimo materiale archeologico con gli scavi delle sue necropoli di Conca d’Oro e di Croce S. Maria.

Altri ritrovamenti fortuiti si ebbero con i frammenti del Calendario Alifano e con una statuetta di bronzo raffigurante il tipo giovanile di Eracle Bibace, tipo dovuto alla fusione di Ercole con Dioniso, durante il ciclo dell’arte lisippica. Questo materiale è andato in parte disperso ed in parte ad arricchire collezioni private e musei italiani e stranieri.

In S. Angelo d’Alife, oltre ai collari di antiche ville patrizie si ha una cappellina dedicata a S. Antonio Abate, sorta nel primo quarto del Quattrocento, con affreschi riproducenti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, il cui stile e forme hanno stretta analogia con quelli di S. Biagio di Piedimonte e perciò attribuiti ad un seguace di Pietro Cavallini.

Raviscanina ha di comune con S. Angelo l’imponente castello di cui ci siamo già occupati, un castello cintato, munito di bastioni e di mastio. Il monumento, malgrado i secoli e l’incuria degli uomini, è uno dei più interessanti del Sannio per la vasta mole e per la sua costruzione architettonica.

Numerose terrecotte antiche ed alcune sculture sono state rinvenute nella località e conservate nel Museo di Piedimonte.

Del castello di Ailano non si ha ora che una torre soltanto, poiché il resto venne trasformato in casa di abitazione. Il castello venne costruito nel periodo longobardo. Qualcosa di più antico lo abbiamo in alcune terrecotte e in due bronzetti posseduti dallo stesso Museo. Questi ultimi rappresentano l’Ercole giovanetto, di epoca romana, tratti però da motivi ellenistici. Sono dei prodotti di arte provinciale. Ma se non si fossero distrutti, Ailano vanterebbe ancora pregevoli affreschi di arte bizantina che adornavano il tempio del famoso Monastero di S. Maria in Cingla, del quale non è rimasto che qualche avanzo.

Anche Prata Sannita, Capriati al Volturno, Valle Agricola, Letino, Cusano Mutri, Sassinoro, S. Lorenzo Maggiore, Pietraroia, Pontelandolfo, Castelvenere, Castello d’Alife, ecc. tengono in piedi i resti dei rispettivi castelli e rocche feudali di caratteristica architettura.

Nella contrada Soccia di Monteroduni furono rinvenute varie tombe neolitiche con numerosi frammenti litici, e nella contrada Carpineto e Cappelle, tombe dell’età del bronzo.

A Macchia sono ancora in vista trabeazioni, colonne e svariati frammenti architettonici romani. Avanzi di mura poligonali trovansi a valle, tra S. Agapito e Longano.

Decorano Isernia resti di mura poligonali. Si vedono in molti punti della Città e presso l’acropoli di Circeli. Antichità romane si conservano nell’Antiquarium. Interessante è il bassorilievo storico, che riproduce un frammento della scena del musaico pompeiano di Alessandro Magno, come interessante è l’altro rilievo nel quale si vede un corteo trionfale di soldati sanniti in grandezza naturale. Ma Isernia vanta anche monumenti medievali. Bellissima è la “Fontana della Fraternità”, romanica, che desta la generale ammirazione. Il campanile della cattedrale, che si leva sopra un androne gotico, ha negli angoli quattro statue romane. Un bel portale romanico è quello della Chiesa di S. Francesco, nella quale un pulpito in legno, barocco, ha interesse artistico. Anche la Chiesa dell’Assunta ha un portale, un portico ed un campanile di stile romanico. La Chiesa di S. Maria delle Monache possiede un portale formato da pezzi architettonici di età classica e da capitelli gotici.

A Roccamandolfi sono ancora in piedi cospicui resti di mura poligonali di struttura primitiva.

A Guardia Sanframondi, oltre agli avanzi del castello, bellissimi affreschi settecenteschi, dovuti a Paolo De Matteis, ornano la Chiesa di S. Sebastiano.

A Cusano Muti, nella Chiesa di S. Nicola, vi è un bel portale del sec. XVI scolpito da Ferrante da Cerreto, portale che, rimosso dallo esterno, orna il fonte battesimale, che lo precede di un secolo. Interessante è poi l’altare maggiore della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, poiché dietro di essa appare una originalissima costruzione lignea, barocca, di iconostasi. Vi figurano l’Eterno Padre, la scena dell’Epifania, la Sacra Famiglia, i SS. Pietro e Paolo, altri Santi ed una teoria di Angeli. Nella Chiesa di S. Croce vi è un quadro della Flagellazione attribuita alla scuola giordanesca ed in quella di S. Maria del Castagneto una statua bizantineggiante della Vergine.

A S. Massimo gli avanzi della celebre Abbazia di S. Nicola ci parlano dei caratteri costruttivi del sec. XII, e nella Chiesa parrocchiale vi sono quadri di Raffaele Gioa del Sec. XVIII.

In S. Potito Sannitico si ergono i presunti resti delle Terme di Ercole ricordate da una iscrizione, che si conserva nel Museo di Piedimonte, il quale possiede, anche di S. Potito, oltre a numerosissime terrecotte di fabbrica locale, alcuni interessanti vasi ed una coppa verniciata nera di epoca romana con una scena di danza. La scena, in sostanza, non è che la famosa tarantella popolare che, come risulta da questa coppa, ha origini ultra millenarie: una figurina muliebre è in atto di scoccare le nacchere, un Amorino batte le nocche sul tamburello, mentre una terza figura virile segue, danzando, il ritmo dei due istrumenti.

Faicchio ha delle imponenti mura poligonali sul fianco del monte Acero e sull’altura del Convento di S. Pasquale. Secondo il Maturi i blocchi, che fiancheggiano la via che mena al Convento, segnavano la larghezza della strada che conduceva all’arce. Essi col grande muro di terrazzamento di tipo arcaicissimo, lasciano scorgere una tecnica primitiva. Le mura di monte Acero, che servivano ad un grandioso sistema defensionale, cioè di concentramento e di sbarramento verso la pianura, ripetono fedelmente lo stesso tipo e tecnica di struttura poligonale primitivo e rustico sull’altura del Convento. Sono in sostanza delle muraglie a secco fatte di piccoli e grandi blocchi, alternati da lastroni orizzontali. Entrambe le fortificazioni erano collegate da un ponte sul profondo letto incassato del Titerno. Il ponte ligneo in origine, che la tradizione locale erroneamente attribuisce alla sosta ed alle operazioni di Fabio Massimo, presenta interesse archeologico per la sua costruzione che unisce la tecnica del poligonale al rivestimento in cortina laterizia. Il che prova che le arcate, risalenti al 1° Sec. dell’Impero, si sono giovate delle opere poligonali preesistenti. Per non citare tutti i manufatti rinvenuti in Faicchio, ci piace segnalare una interessante terracotta raffigurante un bue o torello, conservata nel Museo di Piedimonte, rozzamente modellata e di tipo schiettamente primitivo, descritta dal Maturi. Nella sua rozzezza, la modellatura non è priva di vigore e di naturalezza nell’espressione di alcuni particolari anatomici. Questo singolarissimo prodotto di arte italica documenta un’industria coroplastica notevolmente progredita nel periodo protostorico. Ma Faicchio vanta anche un bel castello, integro all’esterno, con torri cilindriche angolari e con portale rifatto nel Seicento.

Cerreto Sannita rifulge per le sue belle maioliche, la cui industria s’ignora quando avesse origine. Si sa che raggiunse il massimo grado di splendore e di sviluppo tra il ‘600 e il ‘700. Vi si propagò certamente dagli Abruzzi e forse anche da Lucera per certe analogie tecniche comuni. L’industria trattò tutti i generi di decorazione, dal paesaggio al fogliame, dalle frutta ai fiori, e non mancano maioliche con figure umane e di animali, con stemmi di famiglie e con scene sacre. Piatti, coppe, sottocoppe, ciotole, brocche, alberelli, vasi, ecc. di tutte le forme e di tutte le grandezze, mentre costituiscono un insieme attraentissimo, lasciano nell’animo un profondo rammarico, quando si pensi che un’industria così fiorente sia potuta cessare definitivamente. I primi famosi Giustiniani furono dei maiolicari di Cerreto. Nicola Giustiniani, infatti, fu quegli che aprì in Napoli, nel 1760, una fornace di maioliche, la cui magnifica produzione ebbe smercio grandissimo e rinomanza meritata.

S. Salvatore Telesino, in fatto di architettura medievale, ha avanzi della rocca e quelli della famosa basilica omonima, il cui architrave, portante un’iscrizione e a rilievo il bacolo abbaziale, non era altro che l’iscrizione delle Terme di Telese antica, riportata dal Mommsen e che si legge dal lato opposto. Essa trovasi nel Museo di Piedimonte, ove si conservano pure altri cimeli architettonici telesini, consistenti in stele e grossi capitelli corinzi. Nel territorio di S. Salvatore, in località Pugliano, sono disseminati cospicui avanzi di costruzioni poligonali della stessa antica Telese, oltre le mura reticolate, l’acquedotto e l’anfiteatro. Nel Museo Nazionale di Napoli si conserva tra l’altro l’interessante statua in marmo raffigurante un giovanetto ancora in toga praetexta. Un saggio della industria litica telesina si ha poi nel bellissimo pugnale lavorato sulle due facce, il quale, secondo il Pigorini, rappresenta “tutto ciò di più perfetto e di più mirabile abbia mai prodotto alcuna regione italiana”. Trovasi conservato presso il Museo antropologico dell’Ateneo Napoletano.

Mentre sono quasi ignorate le mura poligonali di Campochiaro in contrada Civitella, che provano le origini antiche del paese, son note quelle di Morcone anch’esse cospicue.

Boiano ne possiede di notevole importanza nella località di S. Maria di Rivoli, come possiede i resti dell’acropoli nella frazione Civita, ove sono tuttora in piedi gli avanzi del grandioso castello dei Pandone nel quale sembra finisse tragicamente questa potente famiglia feudataria. Boiano vanta anche opere di particolare interesse artistico come i portali romanici delle chiese di S. Erasmo, Santa Maria del Parco e di S. Giorgio, nonché iscrizioni, terrecotte, sculture e bronzetti di epoca romana, dei quali, alcuni esemplari, come il Mercurio e l’Ercole Giovanetto, sono conservati nel Museo di Campobasso.

Superba, infine, è la zona archeologica di Sepino. Oltre la famosa capanna neolitica rettangolare e zoccolatura in pietra, con la parete di fondo absidata, ricordata dal Pinza, ora introvabile, si hanno le maestose mura poligonali nella località di Terravecchia, di cui parla il Maturi. Infatti lungo il margine sud-ovest si trova un bel tratto di muro di circa cento metri, i cui blocchi, senza tracce di lavorazione nelle facce esterne, presentano carattere di arcaicità. Sullo stesso lato si vede una posterla interrata coperta di lastroni a piattabanda monolitici. In basso sono le imponenti rovine di Altilia romana, sorta dopo la distruzione della Sepino sannitica, nel cui incrocio col decumano si presenta un vasto ambiente rettangolare contornato all’interno da un peristilio di sei colonne, che il Maturi, interpretando un’epigrafe locale, riconosce per il Tribunal Columnatum.

Fra i tanti cimeli rinvenuti in Altilia vanno segnalati alcuni bronzetti votivi ed altri con la raffigurazione “dell’Ercole giovanellto”. Lo stesso Maturi scrutando in quegli avanzi, ha potuto rilevare che Altilia offre un mirabile esempio di città di fondazione augustea, conservando nella schematica regolarità della sua planimetria, l’impronta chiara e precisa dell’età in cui sorse.

Queste, per sommi capi, le opere d’arte e di antichità del Matese. Ma quanti altri preziosi cimeli resterebbero ancora da elencare per dimostrare la ricchezza archeologica ed artistica che esso vanta. Questa ricchezza è tale che nel suo insieme costituisce un tesoro meraviglioso, un titolo di nobiltà di primissimo ordine, che non tutte le regioni d’Italia possono vantare.