Museo - Summary

 

MUSEO ALIFANO

DOCUMENTI PER LA STORIA DEI PAESI DEL MEDIO VOLTURNO

XII

 

DANTE MARROCCO

 

UNA LETTERA INEDITA DI S. CARLO BORROMEO

 

Ediz. SALVI

CAPUA

1967

 

 

 

Piedimonte in Terra di Lavoro, ai piedi del Matese, ha sul monte Muto, accanto al grande convento di S. Maria Occorrevole, un eremo, la “Solitudine” di S. Maria degli Angeli, affidati agli Alcantarini dal 1674, oggi ai Minori Osservanti. Per essi si interessarono Papa Innocenzo VIII colla bolla Piis fidelium votis nel 1487, e Papa Innocenzo XI, quando nel 1678 approvava le costituzioni speciali per quei solitari col breve “Exponi nobis”. Non sono dunque eremi ignorati.

La visione che offrono di austera bellezza si accompagna all’altra caratteristica di essere tutta una collezione di sacre reliquie, un piccolo museo di cimeli. Ci fermeremo su uno di questi: una lettera autografa ed inedita di S. Carlo Borromeo. Benché non riguardi direttamente il Medio Volturno, la pubblico in questa collana perché contribuisce allo studio dei rapporti fra gli Alcantarini del luogo (spagnuoli in origine), e gli ambienti ecclesiastici romano o iberici, dove il cimelio doveva essere conservato.

Eccone anzitutto il testo:

 

Ser.me et Rever.me Dne

Achillem Statium, omni liberali doctrina expolitum faciebam antea plurimi : / et hoc tempore cum se nobis mirifice probaverit, dignum judicavi, qui propter / integritatem, et fidem, non minus, quam propter ingenii facultatem, quae in / eo summa est, diligeretur, nam longo intervallo rediturus in Lusitaniam / cum S.mus D. N. eum liberaliter invitasset, ut esset apud nos, hanc unam / caussam attulit profectionis suae, quod a Rege accitus, in cuius imperio / et ditione sibi nasci contigerit omnem vitae suae rationem ad illius / auctoritatem et arbitrium contulisset, et quasi voto obstrictus id consilii / cepisset, quo nihil haberet sanctius, aut antiquius : quam Statii / voluntatem praesertim tam egregiam, tam gratam, tam plenam officij, et pietatis, S.mus D. N. pro eo, quanti Regem semper fecit, in optimam partm / accepit. ego autem tanto amore sum prosecutus, ut non minora pro / bitatis, quam doctrinae, ornamenta in eo perspexisse videar. Itaque / faciendum putavi, ut doctissimo viro, nihil tale a me petenti, ac ne / quidem suspicanti, huius testimonij laudem tribuerim, non ut facilior, / sed ut illustrior vel ad ipsum Regem, vel ad Cels.do tua, qui in nobilissimis Italiae / urbibus diu versatus, magna ingenii gloria, et doctrinae varietate ita / floruit, ut sapientissimo cuique in oculis, in amore, atque in bo… / esset. nunc preclaris artibus instructus, suis laudibus ornatus, / gratus Pontifici, mihi probatus, iucundus bonis omnibus, operam, / et studium suum Regi dicavit. Et quia in Cels.nis tuae patrocinio / summum sibi praesidium et dignitatem constituit. hoc eam vehementer / rogo, ut Statium in suam recipiat, et, quibuscumque rebus / poterit, augeat atque… non enim mihi dubium est quia se memorem, et gratum ii summum officium praeclare posuisse videantur Deus Cels.nem florentem, et incolumen diu nobis conservet.

Romae, die VIII Aprilis MDLXX.

 

(Aggiunta in corsivo frettoloso):

 

Ill.me ac R.me D.ne ac patrone col.me Quid de nostra causa agere velim in Consistorio et apud S.D.N. et apud R.m Datarium breviari sive memoriali, ut vocatur, Ill.mo ac R.mo Card. Madrutio ostendi quem ab ill.ma D. V. conventum velim ut sicola duo (?) vd. (parole illegibili) rem denique utinam ex animi vestri meique ita conficiatis. Hoc ob majorem in modum etiam atque etiam patere (?) in tanta rei opportunitate nihil (?) deest vobis (?) ego ad easdem molestias iterum revolvere atque hoc Sisyphi saxum, non tantum mihi, sed vobis patronis meis col.mis grave habens frustra voluerit.

(Firma in scrittura chiara)

Humill. Ser.or

C. Carlis Borromeus

 

 

Sull’autenticità della scrittura credo ci sia nulla da eccepire. È identica a quelle di altre lettere del santo esposte a Napoli alla Mostra della Controriforma e del Concilio di Trento, presso l’Archivio di Stato. La scrittura chiara e distinta si deve all’amanuense, mentre l’aggiunta frettolosa è di pugno di S. Carlo. Inesplicabile poi sulla prima facciata la parola “Cardinalis” ripetuta tre volte capovolta. Segnali?…

È l’originale? A prima vista l’originale dovrebbe escludersi: se fu diretta al Principe Reggente del Portogallo dovrebbe trovarsi a Lisbona. Ma è altrettanto possibile e, nel nostro caso, certo, che fu riportata in seguito in Italia, come cimelio del santo. Come si trova a Piedimonte? Notizie sicure sulla data in cui fu portata non se ne hanno. Certamente, per oltre un secolo passò per altre mani. È colla venuta degli Alcantarini spagnuoli che dovette tornare dall’Estremadura. Altrettanto azzardato è pronunziarsi sulla persona che portò e depositò la lettera. Una ipotesi possibile potrebbe indicare o Fr. Bérnardo de S. Juan, o Fr. Juan de S. Maria, poi vescovo di Lèrida e ambasciatore spagnuolo a Vienna, i primi venuti a Napoli. Il noviziato della provincia monastica napolitana era sulla montagna di “Piedemonte” e quelle alte personalità, ed altri, vi portarono reliquie di antichi martiri, e perfino quella eccezionale del sangue di S. Teresa d’Avila. Tutto è custodito lì da tre secoli ormai. Altro non si può dire.

 

Qualche parola sul contenuto.

 

La data dell’8 Aprile 1565 ci riporta al periodo romano-tridentino (Genn. 1560 – Sett. 1565), quando il santo, nominato arcivescovo di Milano, ma trattenuto a Roma, era qui “Protettore” della Corona di Portogallo, e dei Paesi bassi, e Cantoni cattolici della Svizzera, dei Cavalieri di Malta, dei Carmelitani e Francescani, nonché Presidente della Consulta, e primo Segretario di Stato. Periodo, come si vede, assai intenso, anche per i lavori del Concilio di Trento, e riguardo alla stesura del catechismo romano.

Proprio quale “Protettore”, e cioè Promotore degli affari ecclesiastici del Portogallo presso la S. Sede, la lettera è da lui indirizzata al card. Enrico della Real Casa di Alviz. Data la minorità del piccolo Re Don Sebastiano, il prozio cardinale era reggente, e lo fu dal 1562 al 1568. Mi fermo anzitutto alla lettera vera e propria.

S. Carlo presenta e raccomanda al Principe Reggente il portoghese coltissimo e pio Achille Stazio, già invitato da Papa Pio IV a restare a Roma, e che ora torna in Portogallo, chiamato accitus dal Re. Ma Re Sebastiano (1554-78) nell’Aprile ’65 aveva undici anni. Poteva pensare a questo?… Né si riferisce al Reggente, perché apparirebbe dal testo a lui indirizzato. Non si può che riferire al Re Don Giovanni III, morto nel 1557, e questo verrebbe a spiegare il “longo intervallo”.

Con quella caratteristica che gli era propria, e che risentiva di superiore santità e di finezza aristocratica, S. Carlo, non richiesto dallo Stazio, sente il bisogno di presentare l’uomo colto, pio e capace, affinché lo si ponga in giusta luce o presso il reuccio alla corte, o più specificamente presso Sua Altezza Celsitudinem tuam, il Reggente. Stazio ha visitato da studioso le più nobili città d’Italia, ed ora preclaris artibus instructus, specializzato, diremmo noi, torna in Portogallo. E la protettoria e il conseguente avvicinamento degli esponenti portoghesi a Roma, altrettanto non deve meravigliare il gratus Pontifici. È che il brillante scrittore, già Segretario del Concilio a Trento, era stato Segretario particolare di Papa Pio IV zio del santo, (e lo sarà anche di Pio V e di Gregorio XIII), ed assai apprezzato da lui. Sia dunque accolto a Corte come gli consente la sua approfondita preparazione.

È quasi superfluo aggiungere chi sia lo Stazio. Aquiles Estaço è uno dei più grandi umanisti del Portogallo, e per la conoscenza di lui si rimanda alla Bibliotheca Lusitana del Barbosa, al vol. X della Grande Enciclopèdia Portuguesa e Brasileira, alle pubblicazioni del prof. Gomez Branco già Docente di Letteratura portoghese all’Università di Roma. Colui che pubblicava da Parigi a Lovanio ad Ambères, da Firenze a Venezia, a Roma soprattutto – instancabile ricercatore di testi antichi di scrittori e poeti greci e latini, e soprattutto cristiani, poeta egli stesso – era ben degno della eletta presentazione che ne fa S. Carlo. Ed è vanto delle città d’Italia di averne affinato lo spirito per natura tanto elevato, com’è vanto di Roma conservarne al biblioteca personale nella Vallicelliana.

 

Nella parte in calce, in corsivo frettoloso, si accenna a problemi ecclesiastici, ad un affare che non va avanti sia in Concistoro che presso il Papa (apud Sanctissimum Dominum nostrum), e presso il Datario.

È la parte più interessante del documento. Fin dal tempo di Sisto IV (1472-84) il Datario preparava e datava le concessioni delle grazie e dei benefici non concistoriali riservati alla S. Sede, e di certe dispense.

Dalla lettera appare che S. Carlo ha conferito col card. Madruzzi come si richiedeva dal memoriale del Reggente, e vorrebbe che questi a sua volta, agisse sul collega allo scopo che ci sia concomitante pressione di entrambi per la difficile e lunga pratica, onde evitare non tanto a lui quanto ai principi portoghesi la seccatura di una fatica ripetuta inutilmente (saxum Sisyphi). La dispensa che si chiede nell’Aprile ’65, non ha lontanamente a che fare colla dispensa famosa dal celibato, richiesta sotto pressione popolare tredici anni dopo dal Reggente, divenuto Re, a Gregorio XIII, e da questi negata nell’Agosto ’79, pare sotto pressione spagnuola (cfr. Pastor IX, 257). Sarebbe assai interessante se si potesse provare che le pratiche per la dispensa dal celibato erano cominciate prima.

Il Card. Enrico, già arcivescovo in varie sedi del regno, nominato da Papa Giulio III Legato perpetuo a latere in Portogallo, aveva fatto parte del Consiglio di reggenza insieme alla regina vedova Caterina d’Austria, poi, quando questa s’era ritirata a Madrid nel ’62, più o meno forzatamente, aveva retto lo Stato da solo fino al ’68. Poi era rimasto accantonato, fino alla scomparsa del nipote alla battaglia di Alcazar Quebir (4 Agosto ’78). Ormai, unico superstite dei figli di Re Emanuele I, proprio lui, l’ottavo, ecclesiastico per giunta, saliva sul trono a sessant’anni e, morendo il 21 Gennaio ’80 senza designare eredi, provocava l’invasione spagnuola.

Deve essere pratica strettamente ecclesiastica. La chiarificazione potrà forse esser data solo dopo lunghe e speciali ricerche presso l’archivio segreto del Vaticano.

 

 

Contatti per la pubblicazione della lettera presso la Società Storica Lombarda