UN APPREZZO
FEUDALE
di Castelvenere, S. Salvatore e casali
Assai spesso, nelle indagini archivistiche sulla storia feudale dei nostri Comuni, avvien di rintracciare che il Sacro Regio Consiglio – supremo tribunale del regno napolitano – ad istanza dei creditori di un barone fallito, abbia dovuto esporre sub hasta, come allora dicevasi, la sua terra o il suo feudo, per far soddisfare, col prezzo della vendita, i debiti contratti e non pagati. E si rileva similmente nelle suddette indagini, che tale sistema, sconosciuto nei secoli più antichi della feudalità, e poi ben raro nel secolo XVI, abbia dilagato nell’epoca posteriore, a mano a mano che si avvicinava l’eversione della feudalità, proclamata nel 1806. Si osserva bensì che quei procedimenti sub hasta, sottoposti in principio a norme semplici e sollecite, si siano dipoi ingarbugliati per sottigliezze curialesche e per apparato di rito giudiziario, perdurando per diecine e diecine di anni, alle volte anche a danno degli eredi del barone fallito.
Se vogliasi trovare la genesi dell’accennato sistema, bisognerebbe stabilirla in ragion diretta della decadenza della feudalità. Invero, ogni secolo dà sviluppo a nuove istituzioni ed a nuove fasi di progresso; ogni epoca è svolgitrice di principii, creatrice d’istituzioni conformi alla sua natura, consentanee ai suoi costumi, alle sue abitudini e rispondenti ai suoi più gravi ed urgenti bisogni; ogni età ha, insomma, la sua particolare destinazione nei fasti del mondo sociale. Epperò, giustamente considerato il rapido sviluppo dei procedimenti relativi alle vendite feudali sub hasta ed in rapporto all’evoluzione del feudalesimo ed ai progressi civili della società, convien senz’altro affermare che le suddette vendite contrassegnano appunto, come dissi, la decadenza della feudalità e la trasformazione della baronia da uno stato, diciamo, eroico, ad una condizione borghese.
Nel remoto medio evo, infatti, l’infeudazione dei paesi e delle terre costituì il premio della conquista. Pesa, per conseguenza, e terribilmente, in quell’epoca la dominazione del barone, posto nella rocca del suo castello merlato, perché egli abusa in maniera feroce della sua posizione e perché non conosce altro diritto, meno quello che viene dalla forza, altra soggezione, all’infuori dell’autorità regia, cui legato da giuramento di fedeltà e di vassallaggio. Ma da quel castello escono la cavalleria, i guerrieri delle crociate e le poesie romantiche, collegate ai tre cicli principali della poesia del medio evo e si produce così quella feudalità eroica, che richiama al pensiero la vita agitata di quei tempi tenebrosi, di smisurata potenza e di sommo avvilimento, nei quali il feudo era perduto solo per fellonia o per mancanza di eredi, ritornando alla Corona, che ne faceva oggetto di nuova e gratuita concessione.
Più tardi, e specie dopo la congiura dei baroni, ultimo bagliore della feudalità eroica, il feudo divien mezzo di lucro per i bisogni dello Stato, oppure materia di contratto. Così è ammessa la vendita, invece della concessione, il pagamento dell’adoa e del jus tapeti, invece del servizio militare e del giuramento di ligio omaggio; così ogni zolla di terreno – come i numerosi e meschine feudi rustici abruzzesi, acquistati soltanto per affiggervi un titolo nobiliare, – così ogni ufficio, anche il più vile ed abbietto, come la gabella delle meretrici in Napoli, ha l’impronta di una nuova feudalità,con i suoi attributi, i suoi oneri e le sue regole di successione ereditaria. Ed è perciò che il feudalesimo, divenuto ormai borghese dall’epoca del vicereame, non potendo più sussistere e rifulgere come istituzione politica, a rapidi passi doveva precipitare inesorabilmente verso la propria rovina.
Ma, tornando alle vendite sub hasta dei nostri comuni, che faceva spesso il S. R. C., giova affermare che se le stesse sono prova evidente della decadenza del feudalesimo, come ho detto, d’altra parte riescono allo studioso di prezioso contributo per la storia paesana, nei riguardi del feudo e dell’università. Perché le cennate vendite avevano luogo soltanto in seguito a regolare apprezzo della terra o del feudo,che era eseguito da un Tavolario (ingegnere) del Sacro Regio Consiglio, apprezzo che racchiude elementi assai utili e di palpitante interesse, anche ai nostri giorni, circa la topografia del paese, gli ordinamenti comunali, edifici, popolazione, industrie, corpi feudali, confini e simili. Accenno appena che le relazioni degli apprezzi ed i relativi atti preparatori, specie quelli eseguiti nel secolo XVIII, sono tanto più interessanti, in quanto che le descrizioni locali sono più accurate e minuziose e racchiudono rilievi e documenti desunti da fonti più antiche,che per o sperpero subìto dai nostri archivi invano altrove si ricercherebbero.
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Comprovano, queste premesse, fra centinaia di casi consimili che potrei indicare, i rapidi cenni sulla feudalità di Castelvenere, S. Salvatore, Massa superiore e Massa inferiore e del bosco Pugliano, che ho voluto raccogliere per illustrare l’apprezzo delle medesime terre, eseguito nel 21 settembre 1638, per ordine del S. R. C. dal tavolario Giovanni Pietro Gallerano, e che pubblico sul documento originale, che ho donato testé alla Biblioteca del Museo Civico di Piedimonte d’Alife.
Narrano le cronache antiche convalidate dai diplomi editi dall’Ostiense, dal Gattola e dal di Meo, che le suddette terre siano state in origine tanti possedimenti monastici, che la pietà di dinasti e di principi beneventani volle elargire all’ordine benedettino cassinese, nelle continue tempeste di guerre, di rapine, di violenze e d’incendi, che furono suscitate intorno al mille. Dice l’abate Alessandro di Telese, che durante il suo governo, e dal 1133 al 1136, più volte si fosse recato nel cenobio di S. Salvatore il re Ruggiero, e che abbia confermato il possesso di quei paesi alla Badia[1]; ripetono il Petrucci[2] e Mons. Iannacchino[3], che appunto dalle cennate concessioni e conferme reali tragga origine la feudalità di quelle terre. In ogni modo, risulta dai registri angioini che il re Carlo II d’Angiò, con diploma del 1295 abbia riconosciuto l’abati di Telese nel possesso feudale dei casali di Villacursina, S. Salvatore, Schiavi, Corto Porto, Raieta, Venere, Alvignanello e dei castelli di Carattano e di Campagnano, con uomini, vassalli, redditi ecc.[4]; che nel 1306 un nuovo abate, a nome Fra Benedetto, abbia ottenuto dal re Roberto l’assenso per essere asecurato ai vassalli ed esigere la sovvenzione dovutagli propter sacramente ut est consuetum[5]; che altri rapporti sian corsi fra l’abate telesino ed il sovrano nel 1311, nel 1319 ecc. e sempre a proposito dei feudi surriferiti[6].
Tralasciando però la narrativa delle singole vicende di quei castelli e casali, perché esorbiterei dallo scopo di queste modeste ricerche, ed attenendomi all’epoca più a noi vicina, ricordo che sullo scorcio del secolo XIV, mentre Castelvenere era posseduto dalla famiglia Monsorio, le due Masse, S. Salvatore ed il feudo di Pugliano si trovavano soggette alla casa Sanframondo. Più tardi, nel 1448, il re Alfonso d’Aragona investiva Giovanni Sanframondo, figlio di Guglielmo, del contado di Cerreto, delle terre di Cusano, Faicchio e casali di Massa superiore ed inferiore[7], e quando il nominato conte Giovanni, per avere seguito le parti del duca d’Angiò, nel 1460 perdette per fellonia il contado di Cerreto, che Ferdinando I d’Aragona donò a Diomede Carafa, nel 1479 era venduto per ducati 4.500 a Giovanni Monsorio la terra di Faicchio, i casali di Massa superiore e Massa inferiore ed il feudo di Surripe (Solopaca)[8].
Nel cedolario del 1500 n. 88, nel nostro Archivio di Stato, si trova tassato esso Giovanni Monsorio per Castelvenere, S. Salvatore e le due Masse, e ciò dimostra che in quell’anno legittimamente tutte queste terre erano a lui ricadute e venivano a lui intestate per il pagamento dell’adoa dovuta alla R. Corte. Gli successe il figliuolo Vincenzo, accertandocelo un titolo autentico, cioè il privilegio del re Ferdinando il Cattolico, dato in Castelnuovo di Napoli a 26 febbraio 1507, con cui fu accordata al mag. Vincenzo Monsorio di Napoli, fedele e diletto, primogenito del defunto Giovanni, l’investitura dei seguenti feudi, cioè «terram Faychie (Faicchio) cum casalibus et cognitione primarum et secundarum causarum: necnon terram Torelli (in Princ. Cit.), casale sancti Salvatoris, Terram Veneris, quartam partem casalis Suripache (Solopaca) et casale Pugliani et Fragneti, cum eorum et earum castris, hominibus, vaxallis etc.[9]». Nello stesso anno il detto hominibus Monsorio era investito della terra di Roccanova e suo casale abitato di Massa superiore.
Ma Tommaso di Sanframondo, erede degli antichi feudatari di quei luoghi, muoveva intanto continui reclami contro il Monsorio, a tutela dei suoi dritti. Dopo lunghi piati, nel 1513 si addivenne ad una transazione, per la quale Tommaso di Sanframondo cedette a Vincenzo Monsorio, suoi eredi e successori, ogni ragione che per qualsiasi titolo o causa gli fosse spettata, tanto sul demanio, quanto sul possesso della terra di Faicchio e sui casali di Massa inferiore e feudo di Solopaca, nonché sulla terra di Roccanova col casale di Massa superiore. Su questa transazione fu impartito il regio assenso[10], e più tardi, nel 1516, la regina Giovanna e Carlo, suo figlio, ratificavano la cessione dei dritti sulle menzionata terre, a favore del Monsorio[11]. Nel 1520, per la morte di Vincenzo Monsorio, da Antonio suo figlio fu presentato il relevio nella R. Camera della Sommaria per le entrate feudali di parecchie terre, fra cui Castelvenere, S. Salvatore, le due Masse e feudo di Pugliano[12]. Questo nuovo feudatario alla sua volta cessava di vivere nel 24 ottobre 1562, lasciando erede suo nipote Annibale, contro di cui fu spedita nel 1564 altra significatoria della R. Camera per la morte di Antonio, suo avo paterno, per il pagamento del dovuto relevio[13]. Questi ebbe una figliuola a nome Andreana, la quale, per la morte del padre, accaduta a 29 giugno 1566, fu obbligata anch’essa al pagamento del relevio[14].
Si rileva poi dal cedolario che Ferrante Monsorio avendo sposata Lucrezia de Capua, abbia procreato un figliuolo a nome Giovani, e che nel 1618, essendo costui debitore della R. Corte, fossero stati venduti i suddetti feudi alla nominata Lucrezia de Capua[15]. Si ha inoltre che, morta la de Capua nel 4 ottobre 1620, le sia succeduto il suddetto suo figlio Giovanni Monsorio, contro cui fu spedita significatoria pel relevio[16].
Appunto la vendita sub hasta del patrimonio di quest’ultimo riflette l’apprezzo feudale eseguito dal tavolario Gallerano nel 1638, per ordine del S. R. C., e che in seguito sarà pubblicato, perché i creditori del defunto suo padre e quelli suoi particolari fecero esporre venali le terre di Castelvenere, S. Salvatore, le due Masse ed il feudo di Pugliano. Ed infatti esse vennero aggiudicate addì 11 agosto 1645 dal S. R. C. e per ducati 22 mila al dott. Lelio Carfora[17], al quale poscia, con decreto di preambolo della Gran Corte della Vicaria del 9 settembre 1666 succedette il figliuolo, dott. Aniello. Perdurò per circa un secolo, e nominalmente di fronte al Fisco, il possesso delle anzidette terre nelle mani della famiglia Carfora, finché, con istrumento per not. Francesco Antonio Caselli di Caserta del 27 ottobre 1768, D. Carlo Carfora, nella qualità di erede di Lelio Carfora, suo zio, per l’intermedia persona di Carlo Carfora seniore, suo padre, dichiarò che la compra dei ripetuti feudi era stata fatta con danaro e nell’interesse del duca di Maddaloni Diomede Carafa, e ratificò tale dichiarazione a favore del duca Domenico Marzil Pacecco Carafa, figlio ed erede del duca Diomede. Con regio assenso del 4 maggio 1762 fu convalidata sia la vendita fatta sub hasta dal S. R. C. nel 1645, che la ratifica e nuova vendita eseguita dal Carfora al duca di Maddaloni[18].
Finalmente il duca Domenico Marzio Pacecco Carafa a 5 maggio 1768 ebbe l’ultima intestazione nel cedolario, tra gli altri feudi, per Castelvenere, S. Salvatore, Massa superiore e Massa inferiore, chiudendo così la serie dei baroni di quelle terre, essendo poco appresso sopravvenuta la legge abolitiva del 2 agosto 1806[19].
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Dopo ciò, venendo all’esame del nostro documento, rilevo che esso è costituito da un fascicolo di pag. 16, di misura 0,27 x 0,20, scritto con carattere nitido e chiaro del tavolario Gallerano, munito della sua firma ed in buono stato di conservazione. Una copia di questo apprezzo feudale, allorquando con la sentenza del 26 aprile 1810[20] dichiarò competere alle università di S. Lorenzo minore e di Massa inferiore gli stessi usi civici nella Selva Paladina, dichiarati a favore dell’università di S. Salvatore, con l’altra sentenza del 30 marzo 1808. È indirizzato al Regio Consigliere D. Francesco Merlino, che fu commissario della causa promossa nel S. R. C. dai creditori di Ferrante Monsorio e di Giovanni, suo figlio, ed è convalidato con la fede dello scrivano Spera di essere stato presentato nel detto Tribunale agli 11 ottobre 1638.
Comincia con l’apprezzo di Castelvenere, edificato in luogo piano e fortissimo di muraglie, descrivendosi dal tavolario la sua topografia, la sua parrocchia di S. Nicola, la sua popolazione formata da 48 fuochi, la produzione e simili. Rilevasi che il feudatario quivi non teneva abitazione, perché aveva avuto sempre residenza nel vicino castello di S. Salvatore, e dopo enumerate le giurisdizioni che vi esercitava il barone, descrive i corpi di questo feudo, cioè la Selva delle Caldare, l’erbaggio, la mastrodattia, la fida delle legne morte, la cesa di Maiale, i territori delle Pigne Vignole e Camporotto, della Selvapiana, della Corte Silvestre e del castagneto, e poi la proprietà burgensatica della palude di Telese, assegnando a questa terra il valore di duc. 10.520.
Prosegue, apprezzando il castello di S. Salvatore, anche luogo munito, con fossi e muraglie e con la popolazione di 25 fuochi e descrivendo la chiesa maggiore, ove stava una sepoltura di marmo dei feudatari della Casa Monsorio di bona spesa. Assai rimarchevole è la descrizione del castello baronale, fortissimo di muraglie, con torri balestriere, cortine, dicendolo fabbricato de francesi, e rilevando essere inespugnabile, però «soggietto al Castello della terra poiché in caso di nemicitia il barone potria essere assediato et maltractato da suoi vassalli». Enumera poi le giurisdizioni e le entrate feudali, costituite dalla Selva della Valle Paladina, dagli erbaggi, dalla mastrodattia, dalla taverna del passo, dal molino, dalla masseria di Campodifiore seu di Cecere, e dal giardino, tutto del valore di duc. 11.900. È rilevante il ricordo dell’antica Telese, spiegando che la terra di S. Salvatore verso mezzogiorno confina «con Seropaca dove sono le muraglie e le anticaglie della Città destrutta di Telese vetere dentro la quale Città et muraglie sono diversi territorij seminatorij de particolari».
Passa poi a descrivere Massa o la Rocca superiore e Massa inferiore, accertando la disabitazione della prima, e sospettandone la causa «per essere stata gente di poco bona qualità per essere circondata da boschi». Dice che la cura del parroco di Faicchio, e tutte di povera condizione, per cui non pagavano oneri fiscali, e che le poche entrate feudali erano costituite dalla mastrodattia, dalla fida dei territori per erbaggi, dalla portolania, dalle rendite di terre seminatorie e dalle terre di Massa vecchia. Onde assegnava il valore di duc. 3.060.
In ultimo descrive il feudo di Pugliano, bellissimo bosco fra il territorio di Telese e quelli di Castelvenere, Rocca inferiore e S. Salvatore, con la giurisdizione baronale dell’esazione della pena dei danni dati dagli animali, e del valore di duc. 2.500.
Conchiude il tavolario Gallerano questa sua relazione riassumendo il valore parziale dei singoli feudi di sopra indicati, tutti del valore di duc. 27.810.
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Ma la feudalità, che non poteva essere principio di una pubblica istituzione, fu vinta dalle conquiste del pensiero, della libertà e della giustizia. Oggidì S. Salvatore e Castelvenere son divenuti comuni fiorenti per commerci ed industrie, raggiungendo uno sviluppo economico, che i tempi nuovi hanno reso necessario e che le memorie locali dei secoli trascorsi rendono tanto più mirabile, a decoro della operosità cittadina.
Raffaele Alfonso
Ricciardi
AL SIGNORE DON FRANCESCO MERLINO REGIO CONSIGLIERO.
Castiel venere nella provincia di terra di lavoro sta
edificato in luogo piano fortissimo di muraglie, con fossi attorno, di maniera
che dalla parte di tramontana stà eminente, per esserci un vallone sotto, per
dove correno l’acque piovane del paese, s’entra per una porta con ponte à
levatoro dalla parte occidentale, dove se ritrova una bella strada dritta di
conveniente larghezza, spartuta con vichi da una parte e l’altra et è asciutta
et netta ancor de inverno, et per essere terricciola piccola e ben populata, di
maniera che fuor detto Castello all’incontro detta porta sono altre bone
habitationi, con la parrochial chiesa di santo Nicola, dove resiede
l’arciprete, con un diacono, un clerico et dui altri clerici coniugati, vi è
l’altare maggiore, dove di continuo sta il Santissimo Sacramento, vi è fonte
del battesmo di marmo con Cappelle alli lati di bellissime cone, et sta pulita
et adornata, et al spirituale sta soggietta al Vescovo di Telesa.
Detto Castello è per crescere di habitanti per
essere di aria temperato, et le case sono di buona fabbrica soprane et sottane,
et conforme l’ultima Numeratione è fochi 48, et tiene buoni territorij piani et
fruttiferi, tiene herbaggi, Boschi demaniali, rivi d’acque et altre bone
Comodità per havere il jus pasculandi et aquandi comune con l’altre terre del
contorno, possedono territorij et case proprie perciò viveno comodamente per
essere abondante di grani frutti Caccie per essere gente di fatiche et
industriosa che vi concorreno etiam forastieri, et quel che manca a detta terra
lo comprano dalle terre Convicine per stare poco da esse distante ciò è dalla
Citta di Napoli sta distante miglia trenta, da Madaluni miglia sidici, dalla
Città di Benevento miglia otto, dalla guardia miglia sei, da faicchio miglia
tre, da Santo Salvatore miglia tre et da Cerreto dove tiene il suo maggior
trafico et commercio miglia due, con le quali Città et terre teneno llor trafichi di comprare et vendere conforme
llor bisogni et pagano li pagamenti fiscali et altro dall’entrade che Cavano
dal lloro bosco et demanj di detto Castello.
Le Donne di detto paese sono di buon aspetto
gagliarde faticatrice et se exercitano in Tessere filare spatulare cogliere
certe vittuaglie et altri exercitij in crescere pulli et altri animali per
servitio et guadagnio di lloro Case; li homini pareno assai astuti et
industriosi et traficanti perciò viveno comodamente.
Il barone non ha habitatione atteso la sua
habitatione e castello la tene et ha tento in un altro Castellotto detto Santo
Salvatore come appressi si dirà quale sta poco distante da un miglio e mezzo in
circa.
Se può il barone industriare in crescere ingrassare
et allevare diversi animali in detti boschi et pascoli tanto suoi quanto
demaniali con buono et grosso guadagno.
Ha il barone in detto Castello la giurisdictione di
prime et seconde cause con lo mero et mixto imperio gladij potestate et altro
spectante a detta baronia, ben vero a rispetto delle 2° cause dicono li
vassalli che non specta at detto barone et che ci sia lite fra lloro, ma il
barone e contra dice che ne sta et è stato in possessione, et tene infrascritte
entrade cioè:
In primis loco lo bosco detto la Selva delle
Caldare che ha il suo magior aspetto verso mezzogiorno parte piano parte
globoso et parte pennino con rivi d’acqua per mezzo guarnito di grossi albori
di Cerque cerri farni di peracze melacze tregnie cotegniane et altri frutti
selvaggi che serveno in pascere animali porcini et delli piccoli animali
baccine caprine pecorine cavallini et altro, nel quale bosco li Cittadini hanno
il jus pasculandi nove messi dell’anno ciò è quando è fenito di pascere et
cogliere il frutto pendente delli albori et etiam il barone ha il Ius
pasculandi nel modo ut supra nel bosco et territorij demaniali del detto
Castello et Università. Et essendomi bene informato et considerato l’anno
fertile et infertile et quanto carrica et quanno non carrica lo bosco predetto
et considerato a quanto di ragione si deve considerare, tira detto bosco sotto
sopra ogni anno ducati 150.
Et l’herbaggio fronda et fida de animali che
si fa a forastieri duc. 80 l’anno.
La mastrodattia ducati 40 l’anno.
Fida di legnie morte che si fa a forastieri
ducati 5 l’anno.
La mortelle sotto sopra se vendeno ducati 4
l’anno.
La cesa dove si dice de Mayale quale
confina con il territorio della Guardia con Santo Antonio de Cerreto et altri
confini s’affitta in grano tomola du(cati) dieci et per informatione del prezzo
di detto grano alle scognie l’anno fertile et infertile vale un ducato il
tumolo.
Le nuci che erano in detto territorio del
barone perché ne sono stati scippati una quantità di pedi per far tavole et
vendutele, al presente non rendono più de ducati sei l’anno quelle che vi sono
rimaste.
Territorij delle pignie vignole et Caporutto quali stando vecino detto
Castello et confinano con ludovico de lione, celenza lionfonte et la via
pubblica attorno se affittano tomola settantacinque, che sono ducati 75.
Territorio detto la Selvapiana quale sta vecino al fiume
parte in territorio di Venere et parte in territorio di Telesa s’affitta in grano
tomola vinticinque, ducati 25.
Territorio detto Corte Silvestre et Castagnito s’affitta tomola diece di
grano l’anno, ducati 10.
Talché in tutto dette entrade feudali importano
ducati 422 l’anno, dalle quale deduttone ducati 8 di adoho si paga alla regia
Corte restano nette intrade ducati quattrocento et quattordici. Et havendo
havuto mira alla qualità di detto Castello, a suo sito, vicinanze di Napoli et
dell’altre terre Convecine del contorno, alla qualità dei territorij, boschi,
qualità de vassalli et numero di essi alle abundanze di grani, grassa di
frutti, casi et animali che si ponno allevare. Considerato alla securtà di
detto Castello alle giurisdictione che tiene il barone di dette 1° e 2° cause,
considerato l’industrie che si ponno fare in detto Castello et considerato et
hauto mira che oltre detto adoho si pagano anco li donativi alla regia Corte et
Considerato che in detto castello non ci è habitatione del barone et
considerato a quanto di ragione si deve considerare Apprezzo detta terricciuola
seu Castello per ducati diecimila trecento Cinquanta, dico ducati 10.350.
Possede il barone di burgensatico in detta terra:
Le padule di telese quale s’affittano tomola
di grano sei l’anno, ducati 6.
Annui ducati sette per capitale di ducati settanta quali
se devono conseguire dalli heredi di Notar Giovanni Pietro de laurentij,
Lluna e l’altra importano di capitale ducati 170.
Quali uniti con detti ducati 10.350 sono in tutto
ducati 10.520.
Et questo è quanto riferisco a V. S. in quanto al
prezzo di detto Castello rimettendomi del tutto al suo prudentissimo giudizio.
Nostro Signore l’exalti et dia salute. Amen.
Seque appresso il Castellotto seu terricciuola di
Santo Salvatore.
Santo Salvatore. Detto Castello seu terricciola sta in luogo
piano con fossi et contrafossi a torno di grossa spesa di muraglie però sono
vecchie et hanno bisognio di nettarnosi et resarcirnosi in alcune parti,
s’entra per ponte a levatore per una porta quale sta verso oriente, secondo
l’ultima numeratione è fochi cinticinque delli quali undeci ne habitano
dentro del Castello et li restanti fochi 14 fora d’esso all’incontro detta
porta, di bone case et bone fabbriche di camere et bassi, dove è una chiesa con
una devotissima imagine del Nostro Signore, de relievo vi sono cappelle
l’altare maggiore con il SS. Sacramento, fonte di battesmo et in una di dette
cappelle l’altare maggiore con il SS. Sacramento, fonte di battesmo et in una
di dette Cappelle vi è una sepoltura di marmore bianco delli Signori Monsorij
di bona spesa, la gente sono faticatore massari industriusi astuti et viveno
comodamente per havere robbe et territorij proprij oltre li boschi demaniali
dalli quali cavano bone entrade per pagare li pagamenti fiscali et altro per
necessario di detta terra, hanno acque sorgenti però si serveno di una fontana
vecchia, detta terricciola et Castello à rispecto dell’aria è poco bona, per
stare rinchiusa et circondata di montagnie quale impediscono li venti che di
estate è poco bona ad habitarci per essere luogo assai caldo.
Da dentro detta terricciola seu Castello s’entra per
un’altra porta all’altro Castello più forte dove è l’habitatione del Barone, in
detta porta è l’altro ponte a levatora, fortissimo di muraglie con fossi
contrafossi et passiaturi et turriuni à torno, fabricato de francesi con grossa
spesa et sta eminente per essere attorniato da valloni, sotto vi sono torrioni,
balestrere, correvie, che è expugnabile, ben vero sta soggietto al Castello
della terra poiché in Caso di nemecitia il barone potria essere assediato et
maltrattato da suoi vassalli.
Et entrando per detta porta se ritrova un Cortigli
grande, ad un lato di esso le Carcere, et accosto uno puzzo di acqua sorgente,
magazeno grande per tenere grani, cellaro grandissimo per tenere vini sotto una
loggia coverta Cocine stalle grande et altre stantie per Creati, poi 12 grade
spatiose se saglie et se ritrova una loggia scoverta, da dove s’entra in una
Sala grande, appresso una Camera et una Cappella con Certe pitture vecchie, et
similmente da detta loggia per altre 6 grade si saglie in un’altra sala più
piccola et ad un braccio vi è una Camera che ha la porta et scende alla prima
sala detta di sopra et altro braccio una altra Camara con camerino con
correturo coverto da dove si può tirare l’acqua dal puzzo per servitio delle
Cocine ch è appresso, et sequitando dentro detta Cocina, vi sono altre tre
Camere et dall’ultima camara per tesa di una gradiata di fabrica si saglie a
due altre camere con una palombara da dove si va in uno soppigno grande che
copre tutte le case di sotto, et al cantone di detto soppigno vi è un’altra
Camera con torretta sopra che sta a cavaliere di detto Castello et della
terricciola, detto castello è fortissimo però l’habitatione di sopra è assai
sgarbata, all’antica, vecchia, et ha bisogno di molta accomodatione et
resarcitazione et precise di porte e fenestre atteso ve ne mancano assai et ci
vorria bona spesa per far dett’habitatione bona et moderna. Detto Castello et
habitatione tiene bona vista di pianure boschi et montagnie del contorno, et sta
accosto de una massaria che è del barone parte arbustata et vitata et fructata
et parte scampia et seminatoria però scarze assai di vite et ha bisogno di
guberno di pasteno et spesa.
Sono in detta terricciola diversi territorij
seminatorij che possedeno li particolari di essa et tene il Ius pasculandi
comune con li territorij de Solopaca, Ameruso et Palasciniello (Puglianello),
et confina detta terra dalla parte di meczogiorno con Seropaca dove sono le
muraglie et anticaglie della Città destrutta di Telesa vetere dentro la quale
Città et muraglie sono diversi territorij seminatorij de particolari, et dalla
parte di oriente confina con il feudo di pugliano, Amoruso et pulaniello, et
dalla parte di settentrione con Faychio et Massa inferiore, et dalla parte di
occidente confina con detto Pulianello et Amoroso, è distante dalla Città di
Napoli poco più o meno, et dall’altre terre come si è detto di Castel Venere.
Si può il barone industriare in fare allevare et
crescere di ogni sorte di animali, di grani, di casi per havere, tenere et
possedere boschi et pascoli in quantità.
Ha il barone la giurisditione di prime et 2° cause
mero et misto imperio gladij potestate et altro conforme à suoi privilegij et
tene l’infrascritte entrade videlicet:
La Selva seu Bosco della Valle paladina,
quale è parte burgensatico et parte feudale questo è uno bellissimo de moya
mille in circa posto dalla parte del feudo di pugliano et tira per la falda
della montagnia di massa vi è luogo di caccia riservata per il barone, quale
sta accosto il monte di Massa superiore sta pastinato di grossi et alti piedi
di Cerque cerri et farnie et per meczo peracze melacze tregnie et altri frutti
selvaggi, ci sono per dentro alcune chiuse et territorij seminatorij di alcuni
particulari, et di Santo Nicola et delli Versilli delle quali dicono che il
barone ne paga ducati quindici l’anno. In detto bosco l’Università di Santo
Salvatore ci tiene il jus pasculandi nove mesi dell’anno quanno è colto e
pasciuto il frutto pendente, nel quale tempo non ci può nessuno entrare eccetto
quelli che fida il barone, et e contra, il barone tiene il simile jus
pasculandi nelli boschi e nelli territorij demaniali dell’Università quanno è
colto et pasciuto li frutti et herbe di sotto, et quando detto bosco carrica è
di molto rendito, perciò considerando al tempo che detto bosco carrica et il
tempo che non carrica et il tempo che va mediocre tiro il rendito, di esso per
ducati Cento vinti l’anno.
L’herbaggi di detto bosco et dell’altri
territorij quale il barone può fidare a chi piace considerato l’annate che
veneno l’animali in quantità et quelle annate ne veneno poco dai paesi
forastieri quali animali pagano per fida ciò è dal primo di Gennaro sino alli 8
di maggio le pecore et crape grana cinque pe peczo et li animali baccini tarì
uno per peczo, de fertile detto herbaggio se può tirare per ducati Cento
l’anno.
La mastrodattia se tira per ducati trenta
l’anno.
La Taverna che sta al passo quale si va a
Cerrito quale consiste in uno boscio grande col focolare due stalle et sopra
quattro Camere puczo orto et uno moyo di terra per seminarci quello che piace
al Tavernario considerato l’affitti passati et l’affitto presente la tiro per
ducati sessanta l’anno.
Lo Molino ad acqua quale macina con l’acque che sorgono accosto considerato ut
supra et a quanto di ragione si deve considerare lo tiro per altri ducati
sissanta l’anno.
La masseria de Campo de flore seu de Cecere
che sta a vista et vicino al detto Castello et habitatione del Barone di moya
ottanta in circa parte arbustata et vitata ma scarza di vite et ha bisognio di
molto gubernio et parte seminatoria la tiro sotto sopra per ducati Cento
l’anno.
Giardino quale è strutto per non essere altro che tre piedi
di olive che sta vicino la terra e se affitta in grano tomola sei l’anno,
ducati 6.
Tal che tutte dette entrade importano ogn’anno
ducati quattrocento settantaseri delli quali deductono ducati otto di Adoho si
paga alla regia Corte restano dette entrade ducati 469, et havendo considerato
a quanto di raggione si deve considerare et considerato del medesimo modo che
ho considerato di Castel Venere Appreczo detto Castellotto seu terricciola ut
supra con tutto lo Castello et habitatione del Barone ducati undecemila et
novecento, dico duc. 11.900.
Seque Massa seu la Rocha superiore.
Questa terra sta edificata in luogho eminente
fortificata di bone et alte muraglie con bone case et habitationi quale case
per essere dishabitata si vanno roinando, et tiene bellissima vista del suo
paese et altre terre et boschi à torno et per star cossì eminenente era di
bonissima aria però perché causa sia dishabitata non ne sanno dar ragione però
credo che per essere stata gente di poco bona qualità per essere circondata da
boschi sia dishabitata, ma parte di detta gente dicono esserno andata ad habitare
in altri luoghi et precise al piano da dui miglia distante detta terra vecchia
dietro una lloro montagna demaniale, et cossì al presente se chiama Massa
inferiore et è de fuochi quindici, quali stando divisi ci è una chiesiola
chiamata Santo Nicola quale se governa dal rettore di faychio, sono gente
povere, et il llor traffico è la maggior parte con Cerrito con li quali viveno
con llor fatiche et col detto demanio, non pagano pagamenti fiscali per essere
stata dichiarata impotente, detto casalotto seria bene che andasse unito con il
castello di Santo Salvatore per confinare insieme, il detto casalotto ha il jus
pascendi con li territorij de fayichio Santo Laurenzo et Cerrito et Santo
Salvatore et il barone ha le prime et 2° cause et altro come si è detto di
sopra et tene l’infrascritte entrade videlicet:
La mastrodattia può rendere ducati 15.
Dalla fida delli territorij per herbaggi
ducati 30.
Dalla portulania ducati 9.
Dalle terre seminatorie ducati 40.
Dalle terre di Massa vecchia seu la Rocha ducati
15.
Dalla terra che confina con Angelo Maczacano de Cerrito ducati 12.
Dalle terre dell’amoruso vecino li territorij
di ettorre caracciolo quale sono imboscati per non esserno gubernati ducati 10.
Dalla vignia vecchia ducati 6.
Li torni et Costa della rocha docati
3.
Talché tutte dette entrade fanno la summa di ducati
Cento quaranta delle quali deductone ducati decessette et tarì tre si paga di
Adoho alla regia Corte ciò è ducati dudeci per Massa Superiore et ducati Cinque
per massa inferiore, restano nette dette entrade per ducati 122,2. Quale
casalotto con dette entrade havendo considerato a quanto di raggione si deve
considerare et precise all’industrie ci si può fare de animali et d’altro,
l’Apprezzo per ducati Tre mila et sissanta, dico ducati 3.060,
Seque il feudo di Pugliano, quale consiste in
un bosco bellissimo di Cerri, cerque et illici, et sotto detto bosco una
quantità di territorij seminatorij et confina con il territorio di Telesa con
il territorio di Castiel venere la Rocha et Santo Salvatore, ha il barone il
jus di fidarci tutte sorte di animali con la giurisditione di exigere le pene
delli danni dati et Carcerare l’animali et quanno si fidano s’exige carlini
quindici di pena ogni volta et si paga il detto danno che si fa conforme verrà
giudicato per due experti, del quale feufo avendo considerato l’affitti passati
et considerato a quanto di raggione si deve considerare Appreczo lo feudo
predicto franco di adoho (perché dicono che va con l’adoho che si paga di
Castel venere) per ducati duimila et Cinquecento, dico duc. 2.500
Talché tutto lo prezzo di detta baronia importano
unite, cioè
Castel Venere ducati |
10.350 |
Santo Salvatore |
11.900 |
Massa Superiore et massa inferiore |
3.060 |
Il feudo di pugliano |
2.500 |
|
|
Sono in tutto ducati ventisettemila ottocento et
dieci ducati |
27.810 |
Et questo è quanto referisco a V. S. remettendomi
del tutto al suo prudentissimo giudizio, Nostro Signore l’exalti, Napoli 21 di
settembre 1638.
Servitore di V. S.
Tabulario
Napoletano
[1] Alexandri Telesini, Coenobii Abbatis de Rebus gestis Rogerij Siciliae regis libri quatuor, lib. II, cap. LXV.
[2] Libero Petrucci, Storia manoscritta di Telese, lib. 4, cap. 19.
[3] A. M. Iannacchino, Storia di Telese, sua diocesi e pastori, Benevento, 1900.
[4] Registro angioino 1295 E n. 78 fol. 288.
[5] Registri angioini 1305-06 n. 155 fol. 240, e 1306 A n. 156 fol. 169 t.
[6] Per altre notizie vedi i registri angioini 1311-12 fol. 121, 122, 1319 E vol. 223 fo. 130 ed il fascicolo angioino n. 36 fol. 11.
[7] Quinternione della R. Camera, n. 1, fol. 80 e Cedolario di Terra di Lavoro dal 1767 al 1806 vol. 10 fol. 11 t.
[8] Registro Quinternione n. 4 fol. 205.
[9] Reg. Quinternione 29, ora n. 33, fol. 86 a 88 t.
[10] Reg. Quinternione n. 11 fol. 199.
[11] Reg. Quinternione 30, ora 34, fol. 186 t.
[12] Reg. Petitionum Releviorum Terrae Laboris vol. 2 fo, 21 t.
[13] Reg. Significatoriarum Releviorum n. 20 fol. 71.
[14] Reg. Significatoriarum Releviorum n. 20 fol. 71.
Come si è visto dai documenti innanzi riferiti, la terra di Faicchio sino a quest’epoca ebbe comune con quelle di Castelvenere e di S. Salvatore la signoria feudale. Però si trova che nel 1594 il Sacro Regio Consiglio vendette per duc. 18 mila a Francesco Antonio de Stadio la terra di Faicchio (reg. Quinternione n. 32 fol. 122). In settembre 1612 fu poi prestato il r. assenso sulla vendita della terra di Faicchio fatta dal S. R. C. per duc. 20.100 a Gabriele Martino, ad istanza del R. Fisco, creditore di Ferrante Monsorio, R. Doganiere della dogana di Foggia (reg. Quinternione n. 45 fol. 244 t.). Nel 7 luglio 1621 esso Gabriele Martino refutò Faicchio a Pietro suo figlio (reg. Quinternione n. 67 fol. 109 t.), la cui discendenza la possedette col titolo di ducato.
[15] Reg. Quinternione n. 63 fol. 149.
[16] Reg. Significatoriarum Releviorum n. 6 fol. 8 t.
[17] Cedolario di Terra di Lavoro dal 1767 al 1896, vol. 10 fol. 15 t.
[18] Reg. Quinternione n. 306 fol. 15.
[19] Cedolario di Terra di Lavoro dal 1767 al 1806 vol. 10 fol. 18.
[20] Bollettino delle sentenze della Commissione Feudale, anno 1810 n. 4.