Museo – Summary

 

 

Valorizzare il nostro Museo

(Tratto da "La Croce" settimanale politico cattolico, 14 Luglio 1963, p. 6)

 

Ho visitato il Museo di Piedimonte d'Alife. E se chiamo questo di Piedimonte Museo con la maiuscola non esagero, se con tale denominazione s'intende significare una raccolta di cimeli e d'antichità tenuta insieme dalla deferenza grata dei posteri. Questo è - comunque - un piccolo museo. Ma considerando l'arrivismo materialistico particolare dei tempi nostri, che sottovaluta tutto ciò che è improduttivo, il fatto che in un centro relativamente minore si sia pensato a creare e a mantenere in vita un'istituzione del genere lo rende automaticamente grande.

Del Museo di Piedimonte si può trovare traccia sulle guide turistiche e sugli annuari i degli Istituti di Cultura: ma, soprattutto, se ne può trovare traccia nei cuori di ogni Alifano che, pur mostrandosi spesso scettico della gloria autentica che distingue la sua terra, per il Museo prova una tenerezza tutta particolare: quella che si prova, potrei dire, per un figlio perennemente disoccupato, il quale è però il «genio» della famiglia.

Il Museo civico di Piedimonte è sorto per iniziativa e volontà di uno dei più illustri figli di questo paese, il professor Raffaele Marrocco, studioso d'antichità e di costume, pubblicista e insegnante, il quale, nel 1912, volle offrire un ulteriore atto d'omaggio alla terra che gli diede i natali raccogliendo alcuni dei suoi frutti più pregiati, che affollano numerosissimi il sottosuolo di Terra di Lavoro, nel vecchio Monastero di San Giovanni. Attualmente, il Museo si è trasferito in alcuni locali dell'ex convento dei Domenicani, ex sede della Sottoprefettura, ed oggi sede di scuole. In esso sono raccolti oltre un migliaio di pregevoli oggetti d'arte, specialmente inerenti l'epoca sannitica, che hanno interessato in ogni tempo studiosi d'ogni nazionalità che sono venuti a vedere da Roma e da Genova, dalla Svizzera e dal Canadà.

Nelle poche stanze che costituiscono il Museo, raccolte e sistemate con particolare amore, vi sono manufatti dell'età della pietra, terrecotte dei secoli V e II a. C. delle fabbriche sannitiche e di S. Potito. Nel «lapidario» vi sono tombe preistoriche e romane: una delle quali, perfettamente ricostruita, contiene il teschio e lo scheletro dell'antichissimo defunto, e fa una certa impressione. V'è una piccola sala destinata ad [armeria, nella quale si conservano ricordi del Risorgimento,] ivi compresa la gloriosa bandiera della Legione del Matese. Nella biblioteca, si conservano il busto e gli spartiti dell'illustre musicista Vessella, i corali miniati del '400 e numerose pergamene, delle quali la più antica risale al 1223 e la più moderna è rappresentata dal decreto col quale Carlo VI, nel 1730, concesse a Piedimonte il titolo di città. Vi sono anche numerose ceramiche cerretesi e locali, nonché una minuscola pinacoteca: nella quale si distinguono varie tele di scuola napoletana del sei e settecento opere recenti di Fabbricatore e Bocchetti, e un S. Bartolomeo del concittadino de Benedictis.

 

IL FURTO DEL «DIDRAMMA».

Vi sono inoltre monete assai rare, fra cui alcune preziose di Caiazia e S. Potito, e monete private dell'epoca romana. Uno di pezzi più rari, un «didramma» d'argento di Alife, fu sottratto insieme ad altre monete e ad alcuni fucili da soldati particolarmente competenti o fortunati che, nell'immediato dopoguerra, furono alloggiati nei locali del Museo, forzosamente ridotti ad alloggi per le truppe.

Il prof. Dante Marrocco, figlio del fondatore del Museo, e che segue in tutto e per tutto le impronte paterne, ha ereditato dall'illustre genitore scomparso l'amore per l'arte in genere, e per il Museo in particolare, il furto del «didramma», per questo, lo sconvolse come se gli avessero rubato l'affetto di una persona cara: ma le preoccupazioni reali del disinteressato e valido studioso sono ben altre. La sopravvivenza del Museo, innanzitutto: quel Museo cui tutti gli alifani tengono enormemente, ed al quale continuano a regalare cimeli e ricordi familiari, a condizione che essi non abbandonino il territorio, ma che rischia sempre più di dover dichiarare uno sconsolato «forfatit». Sul principio, difatti, il Museo fu finanziato dal Comune e specialmente dalla Provincia: ma quando, nel 1945, Piedimonte entrò a far parte del circondario di Caserta abbandonando quello di Benevento, la nuova Provincia si mostrò meno generosa della precedente, e malgrado le continue sollecitazioni non ha mai accordato al piccolo ma interessante Museo alcun finanziamento: e questo pur se la stessa Provincia concede ben otto milioni all'anno al Museo di Capua, e quindi non può essere accusata di totalitaria indifferenza artistica. Tale disinteresse preoccupa e angustia il prof. Marrocco, il quale, della gestione e del funzionamento del Museo si è addossato l'intera responsabilità: ma che è naturalmente, ben conscio dei propri limiti e delle proprie disponibilità. Da anni, per non far morire il «suo» Museo, egli lo accudisce come un'autentica «balia» del passato. Per anni, fin quando cioè il Comune di Piedimonte non stabilì di pagare un custode che si occupasse delle pulizie e di tener aperte le sale per tre ore ogni domenica, il prof. Marrocco si addossò anche le fatiche più materiali, le mansioni più antitetiche con la sua qualità di studioso e di filosofo. Oggi, per fortuna, il Comune paga un inserviente: ma ciò non basta, ovviamente, a soddisfare la pluralità di esigenze e le spese di manutenzione che occorrono per tenere in piedi questo Museo. Al Museo, occorrono fondi, nonché una compartecipazione più vasta delle Autorità competenti. Occorrono fondi, per poter «battere sul tempo» gli antiquari più danarosi, che riescono facilmente a persuadere i contadini dei dintorni a ceder loro le reliquie del sottosuolo, snidate dalla terra dall'erpice di un aratro, e che riescono a sfuggire all'esclusivismo della Soprintendenza. Occorrono fondi, affinché una raccolta d'arte d'indubbio valore non finisca con l'essere accantonata in qualche angolo cosa che ha già minacciato di accadere più di una volta, e non si è verificata solo perché il prof. Marrocco, compiendo sacrifici personali d'ogni genere, è riuscito ad evitare le minacce «in zona Cesarini».

«Qualcuno dice che il nostro Museo è troppo poco importante per doversene preoccupare» dice il prof. Marrocco. «E invece è importante: basti pensare agli stranieri che vengono a visitarlo, e anche, perché no? Alla statuetta del "Corridore" del V sec. a. C., che il professor Maiuri, si portò a Napoli per studiarla, e che, malgrado le mie continue richieste, non è mai più stata restituita ... È evidente, quindi, che la "nostra" roba ha un certo valore... ».

 

150MILA LIRE ALL'ANNO

Sì, questa «roba» ha un certo valore: artistico e affettivo. Il prof. Marrocco, e quei pochi che come lui tengono a conservare in vita questo piccolo Museo, temono continuamente di doversi rassegnare ad una chiusura forzosa. Allora, dove andranno a finire le vestigia delle famiglie più nobili di qui, e dove andrà a perdersi l'abnegazione indiscussa di questa stirpe Marrocco, che lotta da anni per garantire, al Museo Civico di Piedimonte, la sopravvivenza che merita?

Facciamola rivivere, questa «mummia» imbalsamata con l'affetto e la deferenza del tempo che fu. Per la Provincia di Caserta, centocinquantamila lire l'anno non rappresentano poi una grossa somma; a tanto ammonta, difatti, la richiesta del dr. Marrocco che da venti anni non trova risposta. 150 mila lire l'anno: che basterebbero a procurare una sorsata d'ossigeno a questo povero Museo perennemente minacciato d'asfissia, ed a far giudicare la nuova Provincia non meno comprensiva della precedente. Né ci starebbe male un po' più cura da parte del Comune.

Facciamolo sopravvivere, questo Museo Civico di Piedimonte d'Alife: affinché molti altri dopo di me, possano apporre la propria firma sull'albo d'onore situato all'ingresso, nel quale il passato aspetta il futuro per stringergli una mano attraverso i secoli, che solo istituzioni come questa riescono, per un attimo, ad annullare e a valorizzare, nello stesso tempo.

VIRA