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Resti di mura poligonali

 

 

 

ATTI DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI

Notizie degli Scavi di antichità

Estratto dal volume III, Serie VI, fascicoli 10°, 11° e 12°, pp. 450-460.

(Roma, G. Bardi, Tip. della R. Accademia dei Lincei, 1927)

 

 

IX. – PIEDIMONTE D’ALIFE. – Resti di mura poligonali.

 

Il M. Cila (m. 677) che sovrasta l’odierno abitato di Piedimonte d’Alife quasi al centro dell’ampio arco di monti che si apre fra le alture di Faicchio e quelle di Ailano, viene a formare l’estremo e più valido contrafforte del massiccio montuoso del Matese verso la sottoposta valle del Volturno, a pendio ripidissimo, terrazzato in gran parte dalla mano dell’uomo per la coltivazione dell’ulivo che ne ammanta la scabra superficie calcarea; è tagliato ai fianchi da due profondi valloni per i quali si può raggiungere il bacino superiore del Matese con il suo grande altipiano erboso e il lago a più di mille metri ad oriente il profondo Vallone del Rio per il quale scorrono vorticose le acque del Torano, lo separa dai monti di S. Potito e Gioia Sannitica; ad occidente il Vallone del Paterno lo taglia dalle alture di Raviscanina e di Ailano.Il pendio del monte appare ora quasi bipartito dalla conduttura idrica della Società Volturno che discende rettilinearmente dall’acrocoro del Cila, ed appare tagliato trasversalmente dalla nuova strada interprovinciale che per Castel d’Alife e San Gregorio raggiungerà il bacino superiore del Matese per discendere poi verso l’opposto versante di Sepino e la conca di Boiano. Sul lato nord-est del Cila si stacca la rocca di Castel d’Alife (m. 470)[1] poderoso sbarramento anch’esso della mulattiera che sale per S. Gregorio verso l’antico valico di Pretemorto. La posizione centrale e frontale di sbarramento che viene ad avere il M. Cila del massiccio montuoso del Matese verso la valle del Volturno, ne fece fin da tempo antichissimo un centro di abitazione e un posto di vedetta e di difesa delle popolazioni sabelliche che nell’altopiano del Matese, ricco di boschi, d’acque e di pascoli, traevano gli elementi essenziali di vita, con la periodica emigrazione estiva degli armenti. Le condizioni eccezionalmente favorevoli che presenta il Matese nel suo versante meridionale, con il suo grande altipiano ricco di pascoli, doveva farne un geloso possesso in mano delle tribù sabelliche che per le prime vi si stanziarono ed una ragione di predominio da difendere e custodire contro le temute invasioni di popolazioni della vicina Campania che, per la stretta di Caiazzo, potevano agevolmente giungere nella più interna vallata del Volturno.

Tali considerazioni trovano piena conferma nella presenza di grandiosi resti di opere fortificatorie a sistema poligonale che trovansi scaglionate a varia altezza lungo il pendio del M. Cila. Questi avanzi noti solo a qualche dotto locale del secolo scorso che li ricollegava agli avvenimenti della seconda guerra punica[2], erano rimasti pressoché ignorati dagli studiosi, ed io ne debbo la esatta segnalazione al benemerito ispettore locale prof. Raffaele Marrocco che per il primo fece oggetto di accurata ricognizione tutta l’area del M. Cila, raccogliendo nel civico Museo di Piedimonte preziosi documenti della più antica civiltà italica di questo versante del Matese[3].

Gli avanzi più imponenti di queste opere poligonali si trovano a circa 80-90 metri dal livello della città, lungo una strada vicinale che, tagliando trasversalmente il pendio del monte, discende sensibilmente dal Vallone Paterno verso il Vallone del Rio, protetta in buona parte dallo stesso muro poligonale che ne costituisce per un gran tratto la scarpata a monte e per un minor tratto il muro di terrazzamento a valle: nel tratto di questa antica via di campagna che va dalla conduttura idrica della Società Volturno fino al Vallone Paterno, l’andamento della muraglia poligonale si segue ininterrottamente per una lunghezza complessiva di non meno di 600 metri. Le interruzioni che si osservano qua e là, si debbono a franamenti e scoscendimenti del terreno prodotti dalle piogge alluvionali e non poche volte le interruzioni e le fratture stesse appaiono ostruite e riparate da opere moderne di macere a secco, continuazione del primitivo sistema dell’opera poligonale. La muraglia nei tratti meglio conservati (in prossimità della condotta idrica del Volturno), raggiunge la notevole altezza di 8-10 metri (fig. 1), ma per la maggior parte del suo percorso non supera l’elevazione di 3-5 metri, mantenendosi sempre nei tratti di maggiore o minore elevazione al livello del piano di campagna, e cioè come vero e proprio muro di terrazzamento del pendio del monte.

In qualche tratto (in prossimità della casa colonica n. 139) si osserva a poca distanza e più a monte della grande muraglia qualche altro tratto di muro poligonale, opere queste evidentemente di rincalzo e di protezione del muro principale, senza peraltro poter pensare a una doppia muraglia che corresse tutt’intorno alla costa del monte.

La struttura usata di preferenza per la maggior parte delle costruzioni è di tipo primitivo, ed è ben lontana dalla tecnica del poligonale progredito, quale troviamo nelle cinte murali delle città laziali: i blocchi poligonali di media grandezza, sono appena rozzamente tagliati nella faccia esterna; senza piani squadrati , conservano i piani di posa naturali, ed hanno gli interstizi riempiti di scheggiosi e pietrame minuto, rifiuto della lavorazione stessa del taglio della roccia (fig. 1 e 2). Le dimensioni dei blocchi variano l’uno dall’altro, ma i blocchi di grandi dimensioni sono piuttosto rari, e si trovano indifferentemente usati a tutte le altezze: fra i piani obliqui di posa qualche blocco è inzeppato verticalmente a cuneo per maggior coesione della struttura muraria. La base del muro poggia sempre, e talvolta s’incastra nella roccia del monte, e segue, pur mantenendo l’andamento rettilineo in tutto il percorso, le irregolarità del piano roccioso su cui è fondata: nei tratti inoltre di maggiore elevazione, si osserva che il muro è elevato a scarpata per offrire maggior resistenza alla spinta del terrapieno. Le frane verificatesi qua e là permettono inoltre di esaminare la struttura interna di qualche tratto: in quello, ad es., di maggiore elevazione ed imponenza di struttura si rileva, che lo spessore è di circa 3 metri; alla cortina esterna poligonale segue il riempimento con scheggiosi di pietra degli interstizi interni della cortina ed a questo terrapieno costituito da un enorme quantità di pietrame minuto residuo dei tagli della cava insieme con qualche grosso masso non utilizzato nell’opera poligonale.

Nella metà orientale del M. Cila, e cioè fra la conduttura idrica della Società Volturno ed il Vallone del Rio, si osserva ad un livello inferiore un altro grande tratto di muro di cinta conservato per un centinaio circa di metri di lunghezza e per 6-7 metri di altezza, a grandi e medi blocchi e del tipo stesso della muraglia superiore della quale, non ostante la notevole differenza di livello, non può essere altro che la continuazione; altri avanzi di muro segnala il Marrocco a circa 300 metri di altezza, quale inizio di un circuito superiore di difesa[4].

Tutti questi cospicui avanzi di mutazione hanno lo stesso carattere di muraglie di sbarramento senza alcun indizio di salienti, di porte o di edifici che da esso fossero contenuti e protetti; nessun indizio di abitazioni di età storica o protostorica si rileva dall’esplorazione del terreno. Senza tuttavia escludere che in qualche saggio esplorativo possano venire in luce tracce  di edifici di epoca preromana, il carattere con cui ci si presenta il complesso delle muraglie del M. Cila è quello di un grandioso complesso di opere di sbarramento verso l’altipiano del Matese. La struttura e lo sviluppo stesso delle fortificazioni ci richiamano più che altro alle mura poligonali di Alfedena, dove, oltre alla cinta vera e propria della città, si ha un vasto sistema di difese colleganti un massiccio montuoso e racchiudenti una superficie di non meno di 95,000 ettari[5]: eguale struttura di poligonale primitivo presentano anche i pochi avanzi della cinta di Terravecchia presso Sepino, nella quale ho creduto possa riconoscersi la Sepino sannitica sull’opposto versante del Matese[6].

Indubbiamente questi grandiosi resti di difesa dei valichi del Matese sul M. Cila, abbiano o no carattere di cinta murale, non possono non riferirsi a quello che dové essere il centro più importante di tutta questa regione montana, e cioè all’Alife sannitica di cui l’Alife romana, posta a 3 km. dai piedi del M. Cila in aperta pianura, non fu che la naturale continuazione. A tale riferimento non contrasta l’ubicazione della necropoli di Conca d’oro scoperta dallo Egg a circa 1½ km. dall’Alife romana e a 3 km. da Piedimonte, poiché quella necropoli, giungente cronologicamente fino al V secolo, non ci rispecchia l’intero quadro, della civiltà sbellica preromana, quale invece ci viene rispecchiato nitidamente dalla necropoli di Alfedena (VII-III sec. av. Cr.)[7]. Le opere di sbarramento del M. Cila, per la tecnica primitiva della loro costruzione e per il carattere difensivo che esse hanno dei valichi montani, debbono riferirsi, come quelle di Alfedena, ad un periodo notevolmente anteriore alla conquista sannitica della Campania, ad un periodo cioè in cui popolazioni montane e dedite esclusivamente alla pastorizia sentono ancora la necessità di asserragliarsi contro il pericolo di una invasione di genti osche della Campania, chiudendo validamente gli sbocchi verso la pianura. Per tali considerazioni le mutazioni poligonali del M. Cila possono ben datarsi al VII-VI sec. av. Cr. come quelle della città di Alfedena nella valle del Sangro.

 

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[1] Senza esser troppo lontano dal vero il Nissen, Ital. Landesk. II, 798 pensava che sulla rocca di Castel d’Alife dovesse sorgere l’antica città sannitica prima di scendere al piano al che si oppone, parmi senza decisivi argomenti il Von Duhn, Ital. Gräberkunde p. 610.

[2] Sulla base del passo di Livio XXII, 12 relativo alla marcia di Fabio Massimo da Casilinum verso il Sannio: transgressusque saltum super Allifas loco alto ac munito consedit, si erano identificate le mura del Cila con i resti del campo trincerato romano, mentre pur dovendosi necessariamente riconoscere nel M. Cila a monte di Alife il luogo dove Fabio ristette, è evidente che anche Livio parla di luogo già da tempo fortificato. Ciò aveva già visto il Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alitane, 1776, p. 281.

[3] Un cenno delle scoperte è dato da R. Marrocco, in Memorie storiche di Piedimonte d’Alife, 1926, p. 12 sgg.

[4] Il Marrocco loc. cit., suppone tre circuiti distinti di difesa, il che non è possibile stabilire prima di avere un esatto rilievo di tutti gli avanzi esistenti.

[5] Mariani, Aufidena in Mon. Ant. Linc. X, 1901, p. 233 sg. : per il tipo delle mura di Alfedena cfr. p. 235 e tav. VIII.

[6] Maiuri in Not. Scavi, 1926, p. 250, fig. 4.

[7] Sulle necropoli di Conca d’oro presso Alife e di Alfedena, cfr. ora l’eccellente esame che ne fa il Von Duhn, It. Gräberk., p. 610 sgg. E p. 557 sgg.