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     Il Vescovato Alifano nel Medio Volturno

 

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Associazione Storica del Medio Volturno

 

Dante B. Marrocco

 

IL VESCOVATO ALIFANO NEL MEDIO VOLTURNO

 

Napoli, Laurenziana,1979

 

Indice Generale

 

Presentazione

Cap. I

Origini e vicende del Vescovato

Cap. II

La serie dei Vescovi

Cap. III

Cattedrale e Collegiate

 

Cap. IV

I paesi della diocesi

 

Cap. V

Gli ordini religiosi

Cap. VI

Le assemblee del clero

Cap. VII

Il patrimonio

Cap. VIII

Le organizzazioni popolari

 

 
Cap. IX

Alcuni culti speciali

 

Cap. X

Scuole, studiosi e illustri

Cap. XI

Arte sacra

Cap. XII

Il caratteristico

Cap. XIII

Problemi pastorali e prospettive

 

 

 

 

 

Presentazione.      Torna all’Indice generale (sopra)

 

 

Questo lavoro era riservato alla Bibliotheca Ecclesiarum Italiae, per designazione di mons. Raffaele Pellecchia vescovo di Alife, e sarebbe uscito nel volume Campania. Per la morte del cesenate Mario Burchi, animatore e coordinatore dell’opera monumentale, è rimasto giacente per vari anni. Ripreso a tratti dal ’74, vede ora la luce nel momento della rinascita della chiesa alifana.

Altra intenzione era di trattare insieme i quattro vescovati del Medio Volturno. Per il momento esce alle stampe solo.

 

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Il metodo seguito è rigorosamente critico. Critica però non significa necessariamente demolizione e rifiuto.

Per lo scrivente è giudizio obiettivo che affianca la tradizione, e la sostiene fin quando è possibile. Quando non lo è più, diventa chiarificazione, qualche volta coraggiosa, dei fatti, interpretazione di essi nella ricerca di quanto è effettivamente avvenuto. Una obbiettività indipendente che esclude l’apologia per sistema, come la negazione ed il rifiuto per pregiudiziale. L’indagine si basa sul documento.

Spesso adopero la parola leggenda. Sia chiaro una volta per tutte che leggenda non è fiaba. Questa è una composizione inventata di sana pianta, quella è l’amplificazione non provata di fatti realmente avvenuti.

Il lavoro non presenta grandi novità documentarie.

La dispersione dell’archivio del vescovo e della cattedrale, avvenuta a ripetizione nel 1138, nel 1456, nel 1561, e nel 1688 ad Alife, nel 1675 a Sant’Angelo, nel 1799 a Piedimonte, ha ridotto notevolmente il risultato dell’indagine. Una più vasta e razionale conoscenza di fatti e persone è venuta dall’archivio segreto Vaticano, dagli archivi degli ordini religiosi in Roma, da nuove opere di storia ecclesiastica, ed anche da archivi locali.

 

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Ho dato importanza alla «compartecipazione» dei vari agonisti, e non ho posto in luce solo il protagonista.

Da alcuni, ad esempio Ughelli, la storia della diocesi viene trattata sotto il nome del vescovo, quasi che tutto derivasse da lui. Ora, guardando solo la cima si perde di vista la base: una folla anonima su cui agisce un capo. Ma ecclesia non è una riunione di spettatotri che ascoltano un monologo fatto da un solo attore. È assemblea, e ciè partecipazione attiva di tutti i convenuti.

E non è partecipazione stupidamente livellata, ma articolata e resa responsabile dal posto che si occupa, nella gradazione di uffici. Anche trattando una piccola diocesi non possono essere trascurati i tre elementi aristotelici della società:

il capo (monarchia), il vescovo,

il gruppo dirigente (aristocrazia), il clero,

il popolo (democrazia), il laicato.

Quel che ha fatto ognuna delle tre componenti l’ho trattato come fatto da ognuna di esse, e non come derivato dal capo.

 

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Quel che mi ha spinto a trattare la storia del Medio Volturno anche nel campo ecclesiastico, è stata la ricchezza di notizie. Sono tali e tante che non dovevano perdersi, tanto più che molte di esse escono dal campo strettamente ecclesiastico, e confluiscono nella storia generale. Non ci si meravigli se, dopo aver trattato la guerra nel Medio Volturno, ora tratto la chiesa. Sono argomenti assai diversi, ma io li considero due capitoli di grande interesse nella storia così varia della vallata volturnese.

 

Piedimonte Matese, natale del precursore 1979.

Dante B. Marrocco

 

Si ringrazia:

- per le ricerche di Archivio:

mons. Vincenzo Cinotti, mons. Francesco Corsini, prof. Giuseppe Leone, mons. Raffaele Ricigliano, mons. Francesco Piazza;

- per le fotografie:

Marcellino Bianchi, Nicola Caprarelli, mons. Vincenzo Cinotti, ing. Pietrangelo Gregorio, Aurelio Martino (copertina), Salvatore Riselli, e l’I.G.M. di Firenze per la cartina;

- per le correzioni:

il dott. Rosario Di Lello.

 

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Capitolo I

 

Origine e vicende del Vescovato    Torna all’Indice generale (sopra)

 

 

Origine del vescovato. – La prima questione da affrontare è quella dell’origine. Dobbiamo analizzare alcune notizie leggendarie.

Il Medio Volturno è una vallata fra l’Appennino e il Preappennino che, durante l’Impero romano, si trovava divisa proprio dal fiume fra la prima regione italica Latium et Campania, e la quarta Samnium. Il territorio era collegato alla via Appia da varie traverse, ed era solcato da una diramazione della via Latina, che a Benevento si collegava pure sull’Appia.

Il riferimento a s. Pietro che sarebbe stato in Alife è leggendario.

Nel primo secolo però la predicazione evangelica è passata sull’Appia (i vescovi s. Fotino a Benevento e s. Prisco a Capua), e non è assurdo pensare che si sia fatta sentire sulle diramazioni[1]. Su questa notizia si fonda l’altra, secondo cui, a ricordare il passaggio di s. Pietro, l’antica cattedrale era dedicata a lui.

Altra notizia sulla presenza del Cristianesimo in Alife viene dal martirologia beneventano: una famiglia alifana residente a Roma era cristiana. Si tratta di sette fratelli e di s. Felicita loro madre, martirizzati a Roma nel 131, ma è contrastata dalla storia religiosa romana e dalla critica. (Si veda il capitolo sui culti speciali).

Che a metà del secolo VI il Cristianesimo fosse già da tempo diffuso nel Medio Volturno, ce lo assicura un cenotaffio trovato nel territorio che in seguito si denominerà di San Gregorio Matese. Erano morti a breve distanza di tenpo tre fanciulli, Inportuna, di otto anni, sette mesi e 15 giorni, il 18 Agosto 553, Honesta, il 13 Giugno, a sei anni e sette mesi, e Decoratus il 13 Agosto, di cinque anni, tre mesi e 11 giorni. Ai tre fratellini fu eretto questo cenotaffio:

QUIS NON DOLEAT AUT QUIS NON LUGEAT SUPER VOS RERUM HOC TANTUM SCELUS N LXCII DIES TRES DULCES Nos FILIOS OBTULISSE DO VE NOBIS FILII OMNI PIETATE DULCISSIMI AMANTISSIMI CARISSIMI PIISSIMI NUNC QUID FACIENTES TANTORUM DOLORUM IGNO RAMUS NISI VESTRO TUMULO SATISFACTO IDEO QUAE ROGANTES ET DICENTES PER DEUM VIBUM ET ILLUM DIEM IUDICII, NI QUIS HOC INFANTIUM MOLESTET IN TUS MONUMENTUM HIC REQe IN P INPORTUNA QUAE VI AN VIII MEN VII D XV DEP IN PAC XV KAL SEPTEMB DUODEC PC BASILI V C IND PRIMA HONESTA AN VI M VII DEP ID JUN XII PC SS IND PRIMA DECORATUS VIXIT ANN V MEN III + DI XI DEP ID AUG XII PC SS IND PRIMA SS TRES GERMANI FF QUI HIC REQUIESCUNT CHRISTIANI EFFECT.

Primo a riportarla fu il vescovo Augustin che la disse trovata «in Pedemonte al casal di San Gregorio sopra il castello[2]». La lapide, introvabile, sta a testimoniare un fatto già avvenuto da due secoli: la diffusione del Cristianesimo, ma nulla dice sull’origine.

I versi leonini, rimati a metà verso:

Vita salus mundi, pax, gloria, spesque secundi

a vitiis munda, fusis baptismatis unda.

che, secondo Ughelli, stavano collocati all’ingresso del vescovato, non vanno oltre il secolo XII.

La documentazione comincia nel V secolo, coi primi vescovi storici. Se non esistesse la lapide tombale di Severo, e se Claro non avesse sottoscritto le conclusioni del concilio romano del 499, la storia del vescovato arretrerebbe al decimo secolo.

 

Titolo del vescovato. – In qualche documento si allude al vescovato di s. Pietro, episcopatum santi Petri. Il fatto è che nei documenti del 1020, riguardanti la causa col monastero di Cingla, appare dedicato a s. Maria: Nos Vitus Domini gratia pontifex episcopatus sancte Dei genitricis e t virginis Marie, sancte sedis Aliphane…[3]. È il titolo riportato nella cattedrale nuova.

 

Quattro secoli e mezzo di vuoto. – Dopo Severo e Claro c’è un vuoto nella successione dei vescovi, fin quando non si arriva a Paolo (seconda metà del secolo X). Ci sta chi pensa – Pagi, Papebrochio – che la serie dei vescovi sia stata continua, pur essendo perduta la documentazione. Ma i documenti mostrano il contrario.

Da premettere che nei secoli IX-X erano ben novanta i vescovati vacanti in Italia, a causa dello spopolamento, e delle invasioni saracene. Dalla lettera di Papa Giovanni VIII all’Imperatore Carlo il Calvo appare la situazione tragica delle piccole diocesi[4]. Pare che Alife, già nel 502-504 non avesse vescovo; e si tenga presente che fu distrutta nell’865, 874 e 943.

Alcuni documenti portano prove indirete. In quegli anni molte donazioni vengono fatte a chiese, ma il vescovato di Alife non è mai nominato:l’anno 815, Alahis dona suoi possessi in Alife a Giosuè abate di S. Vincenzo al Volturno; l’anno 841 Majone, gastaldo di Telese, dona una curtis in Alife a Montecassino; mentre altre carte, per corollario, mostrano la povertà della mensa vescovile, appena ricostituita nel 969-70, cui il conte Audoaldo dona diritti e possessi[5].

Altri documenti portano prove dirette. Il martirologio beneventano, riguardo alla traslazione dei sette fratelli, la dice avvenuta: Gregorii IV Romani Pontificis, et Ursi beneventani episcopi authoritate; la Cronaca volturnese (libro IV) assicura che nel 949, S. Salvatore di Alife, era stata esentata dal vescovo di Benevento; e ogni testimone doveva giurare: Scio quod monasterium sancti Salvatoris de Alife libere fuit factum ab episcopo beneventano, et Palatium (il governo) illud subdidit sancto Vincentio. E nella definizione del placito, nel Gennaio 950, ne venne che il monaco preposto al monastero doveva essere nominato dall’abate non dal vescovo di Benevento.

Dunque nell’839 e nel 949-50, il vescovo di Benevento (e non era arcivescovo metropolita) funzionava in Alife non come vescovo di Alife o amministratore (cosa allora inesistente), ma come vescovo di Benevento, e perciò il vescovato locale non esisteva.

 

Cattedrale ed episcopio. – L’antica cathedralis sorse probabilmente sul tempio di Giunone. In molte parti il Cristianesimo sostituì la devozione alla Madre degli Dei con quella alla Madre di Dio, tanto più che in Alife Giunone pare fosse al Tutelare, ed avesse un tempio importante, officiato da un collegium di sacerdoti[6]. Pare che l’edificio pagano, poi cristiano, sorgesse sul quarto S. Pietro, presso l’angolo delle mura fra porta Piedimonte e Porta Roma. È probabile che accosto avesse la residenza del vescovo.

La cattedrale attuale sorse fra gli anni 1132-35. Non si sa però dove sorgesse l’episcopio.

Nel 1561 il vescovo si trasferì a Piedimonte. Causa prossima fu la dispersione della popolazione in seguito a saccheggio, ma causa durevole fu la malaria. Secondo Ughelli (VIII, col. 291) il vescovo sta a Piedimonte ob alliphani aeris inclementiam, residere Episcopus solet.

Prima residenza piedimontese fu una casa di fitto al palazzo De Clavellis alle Coppetelle (oggi giardino Burragato Ricca), a poca distanza dall’antica Collegiata di S. Maria.

Il vescovo Seta comprò una casa alla Crocevia (strumento del notaio Michele Perrotta, 4 novembre 1611) da Violante d’Errico, con annesso orto e canapina. Spese per l’acquisto ducati 420, ed altri 1000 per lavori. L’università di Piedimonte contribuì con 300 ducati a fondo perduto, purché il vescovo e i suoi successori si fossero impegnati a risiedere a Piedimonte (la somma fu restituita nel 1779). Ampliamenti a questa residenza furono ordinati dai vescovi Porfirio e Gentile. Il vescovo Puoti atterrò quanto avevano costruito i predecessori, e al primo piano fece fare più stanze e la loggia sul giardino.

Ma anche Alife rivolle una residenza per il vescovo.

L’arcidiacono Macchiarelli lasciò la sua abitazione in via Castello a questo scopo. Distrutta dal bombardamento americano del 13 ottobre 1943, la casa fu ricostruita fuori le mura, in località Jardino. Il 29 agosto 1949, il cav. Pasquale Vessella donava 2.000 metri quadrati, e l’arch. Giulio Roisecco dell’Università di Roma, progettò l’attuale palazzo eseguito coi danni di guerra.

A Piedimonte intanto tutto veniva accentrato nel seminario. Per interessamento del ministro G. Bosco, il Governo nel 1963, dava L. 49.000.000, e si costruiva un secondo piano. L’episcopio alla Crocevia veniva fittato per scuole.

 

Primo ristabilimento della diocesi e diritto metropolitico di Benevento. – Il 26 maggio 969, Papa Giovanni XIII, avendo concesso a Landolfo vescovo di Benevento l’uso del pallio, lo elevò ad arcivescovo, con facoltà di consacrare i vescovi suffraganei, dove già erano stati: in locis in quibus fuerant; i vescovi sarebbero rimasti sotto il suo controllo di metropolita, qui vestra subjaceant ditioni. Fra i vescovati, al decimo posto sta Alife[7]. Ecco un’altra prova della lunga vacanza del vescovato: ubi olim fuerant, dove una volta erano stati.

Pure con diritto metropolitico furono ristabiliti i confini della diocesi quando, l’anno 985, l’arcivescovo Alfano di Benevento, consacrando Vito vescovo di Alife, assegnava i confini. Si riporta l’essenziale: «Alfanus archiepiscopus, clero ordini et plebi consistenti in Alifis dilectissimis filiis in Domino salutem petentibus, dum me Vitum venerabilem diaconum, quem consacraberat, adque per ipsius sui seriem confirmantes decreberat, Alifanam ecclesiam, ut olim, semper qui habitura cuius episcopatus infra ambitum subsequencium finium perenni iure sine contradiccione sua successorumque suorum ita inviolabiliter haberentur ex una parte fine flubio albente, indeque badit in ipsa Tora, et exiit in ipsos arcus, deinde progrediendo qualiter extenditur in ipsas pilas que stare videbantur juxta flubio Bulturnum, ex alia parte latere montis qui Esere dicitur, ambitus deinde progreditur per serras ipsius montis usque in montem qui Gallus dicitur, deinc per descensum ipsius montis extenditur usque in frabica muri mortui, et per eandem in flubio Bulturno, ex tercia parte luentis ipsius fluminis dirimitur, deinc descendendo per ipsum flubium conjungit se in prioras fines, …»[8].

Il documento è di notevole importanza anche per la toponomastica locale. I confini sono: a Oriente il torrente albente, oggi Arvénto; passa per tora (= selva) e scende al Volturno presso i ruderi di un ponte, pilas, i piloni. A Nord fa da confine il monte Esere, così detto anche oggi in dialetto, stupidamente italianizzato in Esule, la cui vetta è il Miletto, e nel documento s’intende tutta la catena dalla Gallinola fino verso monte Croce di Gallo. Il monte Gallo qui Gallus dicitur attuale sta troppo spostato in territorio ecclesiastico d’Isernia, segno che mille anni fa indicava tutta la montagna intorno a Gallo Matese e non soltanto Favaracchi, il confine attuale. Altro punto di difficile riconoscimento è la fràbica muri mortui, cioè un muraglione a secco, forse protostorico, che dovrebbe stare in basso fra Prata e Fossaceca (oggi Fontegreca). Bisogna cercar bene, da valle dei londri alle cime delle colline su Torcino e Mastrati, il confine occidentale. A Sud il confine segue il Volturno per ipsum flubium. Sono i confini di oggi[9].

Dopo settecento anni altro documento. Il 14 Aprile 1693, l’arcivescovo Orsini decide di andare di persona, per rendersi conto del ricorso dei canonici che non volevano tornare ad officiare in Alife; e il 15 Agosto 1714, riferisce alla congregazione sinodale di Benevento favorevolmente.

 

Soppressione della diocesi. – Il 16 febbraio 1818, a Terracina, veniva stipulato il concordato fra S. Sede e Regno delle Due Sicilie, in 35 Articoli. Di essi ci interessa:

«Art. III – Poiché nella Convenzione del 1741 s’era conosciuta la necessità di riunire parecchi piccolissimi vescovati, i cui vescovi non potevano sussistere colla conveniente decenza; e poiché questa riunione, che allora non ebbe effetto, diventa oggidì sempre più necessaria per la decenza delle Mense vescovili; sarà fatta nei paesi di qua dallo Stretto una nuova circoscrizione delle diocesi nei più opportuni modi; e dopo di avere preventivamente richiesto il consenso delle parti in ciò interessate. In questa circoscrizione si procederà avendo a norma direttiva il vantaggio dei fedeli, e soprattutto il vantaggio spirituale. Tra le sedi che non potranno essere conservate, sia a causa dell’estrema tenuità delle rendite, sia per la poca importanza dei luoghi, o per altri ragionevoli motivi, le più antiche e le più illustri verranno serbate per lo meno in titolo, come concattedrali…

Art. VI – Le rendite delle chiese da riuninrsi saranno applicate alle chiese conservate, a meno che i bisogni delle prime non facciano necessaria un’altra ecclesiastica destinazione, che si farà coll’intervento della autorità della S. Sede. I capitoli delle chiese non saranno nella nuova circoscrizione conservati dopo avere preventivamente domandato il consenso degli interessati; saranno convertiti in capitoli di collegiali, e la loro rendita rimarrà quale si trova in questo momento».

Il vescovato alifano non fu annoverto fra gl’illustri ed importanti, e il 27 Giugno 1818 Papa Pio VII ne firmò la bolla di soppressione, s’intende: a morte del vescovo ob eventum illius vacationis[10]. Il Papa diceva di aver consentito per una maggiore utilità della Chiesa DE UTILIORI Dominicae vineae procuratione… invimus cum charissimo in Christo filio nostro Ferdinando regni Utriusque Siciliae Regi illustri…. Aggiungeva di aver consultato i vescovi, e di aver istitutito alcuni nuovi vescovati. Citava i dieci vescovati suffraganei mantenuti a Benevento da ventitré (fra cui Cerretanam et Thelesinam unitas), e concludeva coi vescovati da sopprimere.

Per Alife diceva: Praevia item suppressione episcopalis ecclesiae Aliphanae ex nun pro tunc quando ex persona moderni antistis Aliphani quomodocumque vacare contigerit, civitatem illam ac dioecesim adjungimus ac incorporamus episcopalibus ecclesiis unitis Cerretanae et Thelesinae;…. Il supprimimus, comportava che, dopo quattordici secoli, anche il titolo finiva.

Il 14 Agosto 1818 Re Ferdinando col suo Exequatur, rendeva esecutiva la bolla.

Il dispiacere nel clero e nella popolazione fu sentito e sincero. Ma c’era un filo a cui appoggiarsi, e fu intelligentemente sfruttato. Piedimonte dal 1806 era capoluogo del distretto del Medio Volturno, con ben 46 comuni: se ci stavano tutte le autorità, poteva mancare soltanto il vescovo?

Si lavorò intensamente. Molta parte della corrispondenza è conservata[11].

Sappiamo così che anzitutto si fecero osservare le distanze: Piedimonte dista da Cerreto ben 12 miglia, e Alife 14; da aggiungere altre 13 per Letino e Valle di Prata senza vie; altre 14 per Prata. Il vescovo vi arriverebbe facilmente? Tutta la popolazione della diocesi unificata ammonta a 53.882 anime. Non sono molte per un vescovo? Le rendite della mensa risultano di ducati 1.868,72, certamente inferiori ai 3.000 previsti dal concordato, ma non proprio niente! Ci sta un fiorente seminario con 80 alunni e rinomati professori. È la fine! A Piedimonte stanno le autorità del distretto (Sottointendente, Giudice distrettuale, Comandante della Gendarmeria, dei Fucilieri e Carabinieri Reali). Chi tratta con loro? Il vescovo solo sta a Cerreto. E le comunicazioni? La posta esterna arriva da Capua il giovedì e la domenica a Piedimonte 8e a Piedimonte quella interna del distretto), e dopo riparte per Cerreto. Di guisa che una comunicazione della Nunziatura a Napoli per Piedimonte, arriva qui, poi va a Cerreto alla curia, poi torna a Piedimonte!…

Interessa una lettera del deputato provinciale Sisto Fiondella al ministro degli Affari ecclesiastici Tommasi: «Tutte le Città e Paesi della Diocesi di Alife sono intorno Piedimonte sede vescovile, in quasi equidistanza di circa miglia dodici. Li bisogni de’ Comarci ne’ mercati settimanali e periodiche fiere in Piedimone, li riunisce colà freqquentemente… (cenno alle autorità). Quindi il sommo vantaggio di riunirsi al capoluogo per tutti li loro bisogni secolari, ivi li offre l’opportunità di soddisfare presso il Prelato e la Curia Vescovile gli molteplici bisogni di loro coscienze e delle Chiese rispettive». Una lettera al Papa fu scritta dai deputati del Capitolo: dopo 43 anni mons. Gentile è stato trasferito, senza essere interrogato! Una lettera simile è indirizzata al Re, e un’altra il 20 Gennaio ’19 pure al Re dal vescovo, che ne ha fatto precedere altre il 20 Giugno ’18 ai cardinali Consalvi e Caracciolo e all’intendente di Caserta. Il 24 Giugno son partite le lettere dei sindaci e dei decurionati di Piedimonte, di Alife e degli altri paesi della diocesi, dei capitoli, degli Alcantarini, e finalmente il 21 Dicembre ecco la lettera del barone Winspeare, regio esecutore del concordato, a mons. Giustiniani esecutore pontificio dello stesso. E il 20 Giugno 1820 ancora una supplica del Capitolo al Re.

Nel 1820 al ministro Tommasi succedeva nel dicastero degli Affari ecclesiastici don Francesco Ricciardi e anche la commissione esecutrice del concordato fu rinnovata.

 

Secondo ristabilimento della diocesi. – Tanto interesse e sincero movimento ebbe esito positivo. Il 14 Dicembre 1820 Papa Pio VII emanava la bolla Adorandi, con cui ristabiliva la diocesi unita a quella di Cerreto.

Veniva stabilita, a morte del vescovo. Da notare che mons. Gentile morì il 24 Febbraio 1822, perciò soppressione e ripristino rimasero solo nei decreti. In praticaa non avvevvero mai.

Nella bolla la diocesi di Alife veniva unita a Cerreto aeque principaliter, cioè per prima fra uguali[12]. Sarebbero rimaste unite per sempre: perpetuo canonice unitae.

Dunque unione col vescovato telesino, non incorporamento in esso.

L’exequatur fu dato dal Re immediatamente, il 21 Dicembre. E il 17 Gennaio ’21 fu pubblicata in diocesi con grandi feste, dal nunzio apostolico. Il 21 Luglio ci fu la conferma da parte del sovrano.

Dovevano stare in due nella stessa casa. Chi era il primo? Ne vennero polemiche tanto solenni quanto ridicole. Si doveva dire, come diceva la bolla, episcopus thelesinus seu cerretanus ac aliphanus, oppure aliphanus ac thelesinus seu cerretanus?…

Don Giovanni Rossi, uno degli scrittori della Reale Biblioteca Borbonica asserì che il vescovato di Telese è più antico, in quanto nel 465 sottoscrise nel concilio romano di quell’anno il vescovo Fulgenzio telesino, e nel 487 ne era vescovo Agnello, presente al concilio romano in quell’apoca. Ma rispondeva il teologo di Alife don Ottavio Scappaticcio, affermando che quanto a Fulgenzio avevano storpiato Jalesinus (Gallese presso Roma) con thelesinus, e riguardo ad Agnello era un’altra storpiatura, Torcellinus (Torcello e Altino a Venezia) al posto di thelesinus. In Alife invece il vescovato esisteva dal II secolo (…?), e che a Telese il primo vescovo storico è Giberto (1075). Aveva dimenticato S. Palerio!

Nessuno dei due aveva indagato personalmente. Tutto si riduceva a interpretare l’Italia sacra di F. Ughelli, l’unico fino a Eubel che abbia fatto una ricerca fondamentale e insostituibile sui vescovi d’Italia.

 

Separazione delle due diocesi. – Il 9 Febbraio 1852, Re Ferdinando II visitò Cerreto. Fra le autorità e la popolazione che lo accoglievano con devozione, non vide il vescovo. Gli fu detto che risiedeva sempre a Piedimonte, e intanto coglievano l’occasione per pregarlo di patrocinare presso il Papa la separazione dei due vescovati. Il Re promise.

Papa Pio IX, il 6 luglio ’52 firmava la bolla Compertum Nobis, e la separazione, dopo trentadue anni, era un fatto compiuto. Le ragioni erano quelle del 1820: le distanze illarum sedes procul inter se distantes; località montane alpestribus locis sitae; la separazione motivata anche perché il vescovo avesse più cura del seminario solertiorem, vigilioremque habeat de seminario curam, e soprattutto per il personale interessamento del sovrano che instantissime flagitaverit. I confini erano i precedenti, sebbene riportati con storpiature, per cui monte Capraro a Gallo diveniva Cetraro, e monte Mutri veniva detto Mùtilo.

Il vescovo Di Giacomo, invitato a scegliere fra le due sedi, preferì Piedimonte.

Mons. Ferrieri arcivescovo di Sida i. p. e nunzio apostolico a Napoli, venne ad Alife il 12 Giugno 1853, per dare esecuzione alla bolla[13]. Il cerimoniale interessa perché caratteristico, e perché riporta lo stato del clero: 1) il vescovo tratterà il nunzio come cardinale e legato a latere, 2) si seguirà il cerimoniale pontificale fino a un certo punto, poi quello dei vescovi, 3) alle 9 processione da una casa di sosta alla cattedrale, innanzi alla quale il trono, 4) ingresso, antìfona del s. patrono, lettura della bolla e del decreto, e rogito del notaio Marcellino d’Orsi; 5) il nunzio canterà l’oremus del s. patrono, pregherà per il Papa e per il Re, e darà l’indulgenza e la benedizione, 6) ricevimento e corteo di carrozze con autorità e notabili, alla scafa del Volturno.

 

Le regioni conciliari. – Il 15 Febbraio 1919 furono istituite le regioni conciliari. La diocesi alifana fu ascritta a quella di Benevento. Ne venne in conseguenza il seminario regionale, inaugurato nel 1933, e i più frequenti convegni dei vescovi.

Cogli articoli 16 e 17 del concordato dell’11 Febbraio 1929 fu prevista la rispondenza della diocesi alla provincia. Ma non fu attuata, ed oggi coll’istituzione delle Regioni, la norma concordataria è praticamente corretta senza ridurre il numero delle diocesi, ma facendo rientrare il loro territorio in quello della regione.

Anche le regioni conciliari sono state riportate a quelle civili.

Le province ecclesiastiche sono: napoletana, beneventana e lucano-salernitana e il vescovo di Alife è divenuto membro dell’episcopato campano, presieduto dall’arcivescovo di Napoli. Papa Giovanni Paolo II ha firmato il decreto il 30 aprile 1979[14]. Dopo 1010 anni ha finito di essere suffraganeo di Benevento!

 

L’unione con Caiazzo. – È stata chiesta ripetutamente dal clero delle due diocesi e da enti.

Da premettere che anche l’Associazione storica del Medio Voturno, il 29 Settembre 1969, aveva inviato preghiera in tal senso, articolandola su ragioni geografiche, storiche, amministrative e culturali: non si vedeva perché doveva mancare soltanto il vescovo[15].

Il 23 Maggio 1973, il clero delle due diocesi chiese che cessasse il regime di amministrazione dell’arcivescovo di Capua per Caiazzo, e del vescovo di Caserta per questa diocesi, e che le due diocesi riavessero il vescovo, anche se in comune.

L’unione fu chiesta solo con Caiazzo, e non anche con Cerreto, in base all’art. 16 del concordato del 1929, alle dichiarazioni di Papa Paolo VI del 7 Aprile 1967, e della Commissione Episcopale Italiana[16]. Il territorio delle diocesi doveva combaciare con quello delle province dello Stato. Nel ’76 si è saputo che poteva combaciare col territorio della Regione.

Si poteva iniziare la riunione dei vescovati del Medio Volturno, mantenendo gli antichi titoli. Invece rimane un problema del futuro, l’unificazione ecclesiastica del Medio Volturno.

Attualmente l’unione con Caiazzo non è reale ma personale. Le due diocesi restano distinte in tutto, e solo la persona del prelato è comune. Dalla bolla di nomina di mons. Angelo Campagna a vescovo di Alife, si ricava infatti che il Papa si è mosso a dare il vescovo dietro insistenze: Optantibus Nobis Cathedrali sedi Aliphanae assignare Episcopum…; che lo nominava vescovo di Alife: te nominamus Episcopum Aliphanae Dioecesis. In quella che lo nomina vescovo di Caiazzo è detto: «…te, hoc ipso die Aliphanae Dioecesis Episcopum constitutum, nominamus etiam Episcopum Dioecesis Cajacensis».

 

La curia. – Tiene a capo un vicario generale. Non è stato possibile ricostruirne la serie. Ce ne sono stati di gran nome, diocesani ed estradiocesani. Fra i primi ricordati è Gian Vincenzo Paterno arciprete di S. Maria Maggiore nel 1582, e Alessandro Perrino nel 1587. Qualcuno nel ‘700 raggiunse anche l’episcopato, come Filippo Sanseverino, vicario negli anni 1752-57. Fu seguito dall’arciprete Trutta. Durante l’800 si fecero notare G. Torti, L. Paterno e L. Cornelio.

Più vicino a noi è stato mons. Ludovico Caso, canonista e oratore.

Al tempo dell’amministrazione del vescovo di Caserta sono stati a capo della curia L. Vaccaro dal 3 Giugno 1967, E. Grillo dal 10 Giugno 1970, e F. Piazza dal 1° Novembre 1975, quali delegati vescovili.

Ogni attività è controllata da un Cancelliere e Notaro. Funzionano l’ufficio amministrativo, l’ufficio catechistico, l’ufficio missionario, l’ufficio tecnico, le commissioni di liturgia e di arte sacra. Pressenti gli esaminatori sinodali. Dal 1968 funziona il Consiglio presbiteriale.

Il tribunale ecclesiastico veniva detto anche «corte laica», e risultava, e risulta, formato dal vescovo che lo presiedeva, dal mastro d’atti o attuario, e da un Officiale difensore del vincolo. Era logicamente competente nelle controversie e per le colpe di ecclesiastici, ma a volte intese giudicare anche casi misti. Aveva sede nell’episcopio.

Nel ‘600 le carceri vescovili erano allogate sotto il campanile di S. Maria Maggiore (vecchia), senza finestre e «comodi». Da metà ‘700 passarono sotto l’episcopio alla Crocevia. Durarono fino al 1860. Si ha notizia di vari arresti dal ‘600 all’800[17].

Esiste una Cassa sacra (o diocesana). Il 3 Ottobre 1860 il vescovo Di Giacomo dové consegnarla al Gen. Scotti, e il 17 Ottobre ’43 soi suoi valori e titoli, per poco non rimase distrutta dalla caduta del palazzo attiguo all’episcopio alla Crocevia.

 

Stato degli archivi. – L’archivio della curia, a causa delle distruzioni medevali di Alife, dello spostamento di sede (1561) del saccheggio francese (1799), conserva poco di antico. Il bullarium non va oltre il 1887, e gli atti di s. visita iniziano dal 1955.

Nel 1966 molti pacchi di carte furono mandati al macero alla cartiera locale, e tornarono solo in parte. Ma anche secoli prima, la situazione non era migliore. L’arciprete Trutta scrive che nel 1735, dovendo i canonici di S. Maria Maggiore consultare l’archivio, fecero fare da un notaio una dichiarazione «sul pessimo stato» in cui giacevano i documenti[18]. Non si è potuto ricostruire la serie dei vicari generali.

L’archivio del seminario non è stato più fortunato. Verso il 1955-60 gran quantità di carte fu data alla Croce rossa. Niente da fare per la serie dei rettori.

L’archivio della cattedrale, distrutto varie volte, e in ultimo dal terremoto del 5 Giugno 1688, di documenti più antichi conserva una lettera del vescovo Agustin del 1559, e una bolla di Papa Paolo III del 1561. Le conclusioni capitolari iniziano dal 30 Dicembre 1703. Sta ben ordinato.

L’archivio di S. Maria Maggiore ha subito traversìe nel saccheggio francese del 1799. Il più antico documento che conserva è una pergamena del 1416. le conclusioni capitolari cominciano dal 1635.

L’archivio dell’Annunziata conserva testi di documenti, copiati in volumi, dal ‘600, libri contabili dal ‘500, e le conclusioni capitolari che hanno inizio dal 1625.

L’archivio di S. Croce di Castello non sta ordinato. Vi sono documenti dal ‘500.

Bibl.: Italia pontificia IX 155: quello della curia inizia dal 1206, niente in quello della cattedrale (gli hanno riferito bene?…). Appare necessario un riordinamento generale degli archivi della diocesi, con la catalogazione dei documenti, per consultazione e studio.

Gli archivi parrocchiali tengono i loro principali registri come segue:

 

                                                           battesimi          matrimoni         defunti

Ailano                                                 1700                1700                1700                (mancano dal 1787 al 1824)

Alife Cattedrale                                   1668                1669                1667               

Alife S. Michele                                   1939                1939                1939                (prima ved. Cattedrale)

Calvisi                                                 1623                1666                1666               

Carattano                                            1946                1946                1946                (prima ved. Calvisi)

Castello                                               1639                1630                1695

Letino                                                 1818                1894                1674

Piedimonte S. Maria Magg.                 1570                1635                1645

Piedimonte Annunziata                         1570                1642                1645   

Piedimonte Sepicciano                         1697                1698                1697                (prima ved. S. Maria Magg.)

Prata                                                   1679                1835                1876               

Prata vecchia                                       1940                1940                1940                (prima ved. Prata)

Pratella                                                1801                1704                1861

Raviscanina                                         1685                1705                1716

San Gregorio                                       1700                1760                1803                (stato anime anno 1700)

San Potito                                           1697                1607                1709                (prima ved. S. Maria Magg.)

Sant’Angelo S. M. della Valle              1605                1589                1801

Sant’Angelo S. Nicola                         1895                1929                1897

Sant’Angelo S. Bartolomeo                 1639                1636                1704

Valle Agricola                                     1632                1744                1744

 

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[1] Dictionnaire historique géografique écclesiastique, DHGE: L’Evangile prêche aux temps apostoliques dans la voicine Bénevent, ne tarda pas a y penetrer. Si veda pure il prudente giudizio di Ughelli, Italia Sacra VIII, col. 207.

[2] Si trova nel suo Codex matrilensis f. 72; v. pure C.I.L. IX 337 n. 2437; Marrocco D.: Breve storia dell’epigrafia alifana (Samnium 1959 I, 58).

[3] Gattola, Hist. Cas. I, 32.

[4] Di Meo, A. in Annali… del regno di Napoli (Napoli 1804), riporta un elenco di 76 vescovati distrutti; Hirach F.: Il ducato di Benevento fino alla caduta del regno longobardo, trad. M. Schipa (Torino 1890), a pag. 125 e segg. elenca le diocesi distrutte; Duchesne L.: Les evêchés d’Italie et l’invasion lombarde, in Mélanges d’archéologie et histoire, XXII (1903), Crivellucci A.: Le chiese cattoliche e i Longobardi ariani, in Studi storici, a. 1897, IV-V-VI; Marrocco D.: Roma e Costantinopoli e le Chiese del regno (Piedimonte 1963), 41.

[5] Marrocco D.: Note storiche sulla contea di Alife, su Annuario 1975 dell’Associazione Storica del Medio Volturno, 116.

[6] Marrocco D.: Breve storia dell’epigrafia alifana, v. av.

[7] Mansi: SS. Conciliorum, XIX col. 19; Gattola E.: Accessiones, I, 37; Muratori L.: Annali, VI, 231.

[8] Gattola: Hist. I, 36 sg.; Marrocco D.: La toponomastica del Matese prima del Mille, su Il Rievocatore (Napoli 1965, n. 3-4).

[9] Secr. dei Brevi 4713 n. 26.

[10] In Bullarium Romanum XX, p. 158, § 11.

[11] Archivio Cattedrale, casella 4.

[12] Bullarium e Breve 5 f 224-229.

[13] Incartamento presso l’A.S.M.V. di Piedimonte: 27 lettere e bozze.

[14] Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana 1979, n. 8.

[15] Annuario 1971; dell’A.S.S.A., pag. 27 sgg.

[16] Cfr. Osservatore Romano del 21 Aprile 1967.

[17] Manoscritto di Santa Maria Maggiore, 276

[18] Trutta G. F.: Cronaca di quattro secoli, 144 mss.