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Il Vescovo di Alife (su Giovanni Petella)
Il
Comitato per le civiche onoranze, si accinge a rievocare, dopo il Prof. D. Giacomo
Vitale, un altro nobilissimo figlio di Piedimonte, il Generale Giovanni
Petella, che ha lasciato in Italia e fuori d’Italia, larga memoria di sé e
devota ammirazione per la sua opera.
Lo scopo che si propone il Prof. Marrocco con questa
pubblicazione, non si esaurisce in una rievocazione semplicemente illustrativa
dell’uomo, del militare, dello scienziato per rendere un doveroso omaggio e
rinverdirne il ricordo. Il Prof. Marrocco, nella sua sensibilità di educatore
propone all’uomo di oggi, specialmente alle giovanissime generazioni, l’esempio
di una forte personalità che, accettando responsabilità e onori, non si
disperse né si sgretolò nell’incontro di realtà affascinanti o dolorose, ma si
costruì lentamente e faticosamente nell’accettazione lieta del dovere
quotidiano.
Il Generale Petella infatti, rifiutando ogni forma
di compromesso derivante da una concezione borghese della vita, assai cara a
molti aristocratici del suo tempo, fece della sua esistenza una missione,
donando agli altri tutte quelle ricchezze di ingegno e di cuore che la
Provvidenza aveva messo a sua disposizione.
Fu medico per vocazione; e si chinò sul fratello
malato con la delicatezza del buon Samaritano per far rifiorire in quell’anima
il sorriso della speranza.
La vita militare, nella quale fu sempre esempio di
lealtà, disciplina e amor patrio, aprì vasti orizzonti dinanzi a lui; ed egli
ne profittò per i suoi studi e per le sue ricerche scientifiche, che favorirono
largamente il progresso dell’oculistica e delle conoscenze geografiche.
Naturalmente, raccolse elogi, ricompense, onori; ma
tutto questo non alterò il suo carattere, non sminuì il suo slancio né offuscò
la sua naturale modestia.
Nella sua anima profondamente cristiana il Gen.
Petella riuscì a trovare l’equilibrio, l’umiltà, il senso della vita.
Qui, credo, sta il segreto del suo successo, e
l’aspetto più importante della sua personalità.
La fede, succhiata sulle ginocchia materne, non fu
per lui passiva accettazione di un dato tradizionale, ma dovette essere tormento
giovanile, e poi conquista definitiva. Difatti, nonostante il clima arroventato
creato dal positivismo razionalista negli ambienti universitari e da
radicalismo massonico nella vita politica del suo tempo, egli seppe conservare
sempre inalterata l’armonia tra scienza e fede nella concretezza di una filiale
devozione alla Chiesa e ai suoi rappresentanti.
Amò certamente, e molto, la sua Patria, di cui
conosceva la storia, le sofferenze, la grandezza. Ma non fu nazionalista, o per
lo meno non lo fu fino all’esasperazione, come lo si voleva imporre in quel
particolare momento storico. Anche qui, la sua coscienza cristiana, alimentata
dalla charitas,
gli suggerì una visione più ampia della storia che, sottraendolo ad avvilenti
rinunzie, gli permise di comporre in sintesi i più alti valori della vita, e di
levarsi con dignitosa fermezza a vindice della libertà umana.
† Raffaele Pellecchia
Vescovo di Alife