ç (Torna a Indice)  PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

 

 

1.   PARTIZIONE DELLA COSTITUZIONE ITALIANA.

Il testo della nostra costituzione è tra i più lunghi: conta ben 139 articoli. Come si vede si differenzia nettamente dalle costituzioni “brevi” ottocentesche, proprio per la preoccupazione, insita in quasi tutti i costituenti, di evitare formule ambigue e flessibili nella loro concisione e quindi suscettibili di ogni pericolosa variazione nei loro effetti, come era già accaduto per lo Statuto del 1848.

Nella seduta del 15 luglio del 1946 1’Assemblea Costituente deliberò di conferire l'incarico per l’elaborazione del progetto della nuova costituzione ad una commissione ristretta di 75 deputati, che si scelse a suo presidente l'on. Meuccio Ruini. I 75 si divisero in tre sottocommissioni e lavorarono al progetto fino al 31 gennaio del 1947, quando il testo completo fu presentato per la discussione a tutta l’assemblea. Dopo circa un anno, il 22 dicembre del 1947, la Costituzione fu approvata nel suo testo definitivo e promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1948, dopo un secolo dalla concessione dello Statuto albertino, passato ormai alla storia.

La Costituzione si presenta così divisa:

PRINCIPI FONDAMENTALI (Artt. 1- 12).

Parte prima:      DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI.

     Titolo primo: Rapporti civili (artt. 13 ‑ 28).

     Titolo secondo: Rapporti etico ‑ sociali (artt. 29 ‑ 34).

     Titolo terzo: Rapporti economici (artt. 35 - 47).

     Titolo quarto: Rapporti politici (artt 48 - 54).

Parte seconda:  ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA.

                           Titolo primo: Il Parlamento (artt. 55 ‑ 82).

 Titolo secondo: Il Presidente della Repubblica  (artt. 83 ‑ 9l)

 Titolo terzo: Il Governo (artt. 92 ‑ 100).

 Titolo quarto: La Magistratura (artt. 101 ‑ 113).

 Titolo quinto: Le Regioni, le Province e i Comuni  (artt. 114 ‑      133).

 Titolo sesto: Garanzie costituzionali (artt. 134 ‑ 139).

Disposizioni transitorie e finali (artt. I ‑ XVIII).

 

2.  PRINCIPI ISPIRATORI DEL TESTO COSTITUZIONALE.

Il 22 dicembre del 1947 il Presidente  della Commissione dei 75, on. Meuccio Ruini, presentò all'Assemblea Costituente il testo definitivo del progetto di costituzione, dicendo, tra l’altro, queste parole: "Onorevoli colleghi, con la seduta di poche ore fa il compito dell'Assemblea Costituente può dirsi compiuto. Ecco il testo definitivo del1a Costituzione, che mi appresto a consegnare al Presidente dell'Assemblea [...] Questa è un'ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione.

E' la prima volta, nel corso millenario della storia d'Italia, che l'Italia unita si dà una libera Costituzione. Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi [...]. Questa carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa e che sparirà presto. No; abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando e adattando alle esigenze delle esperienze storiche. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come chiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede medita riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità [...]. Un giudizio pacato sui pregi e i difetti della nostra Carta non può essere dato oggi, con esauriente completezza. Difetti ve ne sono; vi sono lacune e ancor più esuberanze!

Vi sono incertezze in determinati punti; ma mi giungono voci di grandi competenti dall’estero, i quali riconoscono che questa Carta merita di essere favorevolmente apprezzata, ed ha un buon posto, forse il primo, fra le Costituzioni dell'attuale dopoguerra. Noi, prima di tutti, ne riconosciamo le imperfezioni; ma dobbiamo rilevare anche alcuni risultati acquisiti. I principi fondamentali che sono sanciti nell’introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello  stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli immortali principi, quelle anteriori e  cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell'affermazione di qualcosa e di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi”.

Il testo della nostra Costituzione venne quindi presentato come una sintesi delle aspirazioni popolari più diverse, echeggianti le antiche enunciazioni evangeliche e le recenti proposizioni del manife­sto di Marx. I compilatori della nostra Carta costituzionale riuscirono infatti a superare i dati egoistici di ogni ideologia per portarsi ad una visione ampia e disinteressata della comunità italica alla quale si intendeva fornire lo strumento per l’instaurazione di una società democratica, dove la libertà fosse alimentata dalla coscienza di precise responsabilità individuali e la solidarietà fosse sorretta dal buon diritto. Questa Costituzione insomma aveva il privilegio raro di nascere dalla chiara volontà dei rappresentanti del popolo italiano accomunati in un poderoso sforzo di dar tregua e sicurezza alla nazione dopo tanto travaglio di violenze ed inquietudini.

Dalla lettera e dallo spirito della Costituzione si possono ricavare le caratteristiche più salienti e i principi ispiratori dello Stato italiano che essa ha voluto delineare. Obbedendo alla volontà della maggioranza del popolo italiano, il nostro stato è repubblicano: si attuava il sogno di Mazzini, di Garibaldi e delle schiere dei giovani appartenenti alla Giovine Italia. La monarchia aveva infatti assolto al suo mandato storico e si era esaurita nella mortificazione della dittatura fascista e nella conseguente sconfitta militare. I precedenti per una Costituzione a base repubblicana potevano essere ricercati non solo in quella americana del 1776, in quella francese del 1795 e in quella tedesca di Weimar del 1919, ma anche nella Costituzione della Repubblica Romana del 1848 (3 luglio). Qui si ritrovavano alcuni principi che riaffiorano anche nella nostra Carta costituzionale.

La Repubblica è dichiarata democratica nel senso etimologico della parola, in quanto la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei modi e nei limiti stabiliti dalla Costituzione.

 Il nostro Stato è costituzionale il che vuol dire che i tre poteri o funzioni, nei quali si estrinseca la sovranità, non solo appartiene al popolo e non al Capo dello Stato, come avveniva negli stati assoluti, ma sono affidati ad organi diversi ed indipendenti l’uno dall'altro. Tale principio della divisione dei poteri, che pure è stato e rimane il cardine dei moderni stati democratici e costituzionali, non è stato dai nostri costituenti inteso nel senso così assoluto e categorico come è postulato dai suoi teorici, altrimenti l'azione dello Stato, specie con i compiti che esso oggi ha, ne poteva rimanere paralizzata. Infatti, ferma restando la divisione, vi sono norme che dispongono tra i vari organi dei diversi poteri la necessaria collaborazione e il necessario coordinamento.

E' stato inoltre rispettato il carattere rappresentativo dello Stato in quanto il popolo esercita la sovranità non direttamente, ma attraverso i propri rappresentanti eletti liberamente, mediante votazioni a suffragio universale, formando il Parlamento, composto di due Camere. Parlamentare può anche definirsi la nostra Repubblica in quanto il Parlamento pur essendo l'organo del solo potere legislativo, condiziona al suo volere tutta l'attività dello Stato e degli organi degli altri poteri: infatti il Governo, organo del potere esecutivo, è espressione ed esecutore della volontà del Parlamento e ne deve godere costantemente la fiducia.

Si è ancora rispettato il principio unitario del nostro territorio, anche se la Costituzione prevede la concessione alle regioni della più ampia autonomia. Ciò non contrasta con la tradizione unitaria della nostra storia risorgimentale, in quanto alle regioni sarebbero state concesse soltanto delle autonomie di carattere amministrativo in modo da attuare il decentramento di numerose funzioni che dovrebbero essere svolte dal governo centrale.

E' altresì evidente il carattere sociale della  nostra Costituzione­ in quanto, oltre ad avere tra i propri scopi fondamentali il benessere e l'elevazione materiale e spirituale dei cittadini, riconosce e garantisce le altre formazioni sociali che vivono ed operano nell'ambito delle leggi e nelle quali si esplica e svolge la personalità umana. Prima e più importante manifestazione di questa socialità è il riconoscimento del lavoro come fondamento stesso della Repubblica, come diritto e contemporaneamente come dovere, tutelato in tutte le sue forme e applicazioni.

Infine la vocazione del nostro Paese a voler vivere nella più stretta collaborazione e rispetto reciproco con gli altri Stati, ripudiando la guerra come strumento di offesa alla libertà altrui e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e la tendenza, pur custodendo gelosamente il patrimonio spirituale del nostro popolo, a inserirsi in più vasti organismi supernazionali, determinando il carattere internazionalista di alcune norme della Costituzione.

 

3.   I PRINCIPI FONDAMENTALI.

La nostra Costituzione si apre con una serie di articoli (1-12) riguardante i principi fondamentali su cui essa si fonda. Questi delineano la struttura e le caratteristiche immutabili dello Stato, sulla base dei caratteri accennati nel precedente paragrafo e fissano i limiti degli organi di governo nei confronti dei cittadini sia verso gli Stati stranieri.

Alcuni di questi principi rivestono un’importanza capitale in quanto sono veramente insopprimibili per la strutturazione della nostra comunità nazionale; altri principi sono enunciazioni, forse un po’ vaghe e generiche ma altrettanto utili in sede politica, a dare un preciso significato alle norme costituzionali elencate nei titoli successivi.

Per maggiore chiarezza commentiamo brevemente i vari articoli, indicandoli nella loro successione.

Art. 1 - Il primo comma recita: “l’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro". Non fu facile trovare l'accordo tra i costituenti su questa enunciazione. Originariamente era stata avanzata una diversa formula: “l’Italia è una Repubblica di lavoratori”; ma giustamente fu fatto notare che queste parole potevano far intendere che lo Stato italiano avrebbe avuto una fisionomia classista, mentre i principi fondamentali volevano proprio esprimere la convergenza degli interessi di tutte le categorie sociali. In ogni modo la definizione prescelta è certamente tra le più avanzate, in quanto accoglie, come base del vivere democratico, il lavoro e ne indica la suprema importanza, ponendolo a garanzia dell’affermazione di libertà e uguaglianza contenuta nell'attributo democratica.

Il secondo comma affida al popolo la sovranità, ma questa non ha senso se non viene esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, il che vuole salvaguardare il futuro da eventuali persone che, appellandosi al popolo, potrebbero ritenersi nel diritto di governarlo al di fuori degli organi costituzionali.  La sovranità si esprime quindi solo nell’ambito del dettato costituzionale.

Art. 2 – “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; in questo modo i costituenti intesero riaffermare la libertà di ogni cittadino di poter fare tutto ciò che vuole avendo come solo limite la legge. Se poi si considera che la legge è essa stessa espressione del complesso dei cittadini, si comprenderà come questa non possa soffocare proprio la libertà. D’altra parte lo Stato non può sovrapporsi all’uomo, limitando i suoi diritti inviolabili, cioè quei diritti che si definiscono naturali e costituiscono parte essenziale della persona umana nei suoi bisogni e nella sua dignità. Questi diritti non vanno solo garantiti all’individuo, ma anche a quelle formazioni sociali (chiese, partiti, sindacati, ecc.) in cui si esplica la complessa personalità dell’uomo.

Art. 3 – Quest’articolo costituisce la chiara affermazione del principio dell’eguaglianza. L’art. 24 dello Statuto (“Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono uguali dinanzi alla legge. Tutti godono ugualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salvo le eccezioni determinate dalla legge”) già enunciata questa norma, ma aggiungeva che l’eguaglianza era garantita per tutti salvo le eccezioni determinate dalla legge; e le leggi fasciste, come si è detto in precedenza, cancellarono di fatto ogni principio egualitario, determinando un diverso trattamento tra i cittadini di razza diversa.

La nostra Costituzione ha voluto essere meno generica e ha precisato che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. Ma, perché questa eguaglianza non rimanga una platonica enunciazione, la Repubblica si impegna a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Art. 4 – Quest’articolo si riallaccia in parte all’impegno enunciato nel secondo comma dell’art. 3. Infatti “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”.

Nel comma successivo c’è la condanna di coloro che intenderebbero far parte della comunità nazionale senza svolgere una determinata attività; infatti, ogni cittadino ha il dovere di lavorare, salva la libertà di scegliersi l’occupazione che più gli aggrada.

Art. 5 – “La Repubblica è una e indivisibile”, ma si impegna a promuovere il più ampio decentramento amministrativo in modo da evitare l’eccessivo accentramento di potere nelle mani del governo centrale.

Art. 6 – Lo Stato italiano comprende gruppi di cittadini etnicamente diversi ai quali viene garantito il diritto di servirsi nei rapporti pubblici e privati, negli atti ufficiali e negli istituti di istruzione, della propria lingua. In virtù di questo principio nelle scuole della Val d’Aosta e del Trentino Alto Adige si impartiscono lezioni mistilingue (rispettivamente: italiano e francese, italiano e tedesco).

Artt. 7–8 – “Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Questo il primo comma dell’art. 7, su cui la discussione dei costituenti fu lunga, laboriosa e a volte polemica. Comunque questa enunciazione che ricalcava l’antica formula cavouriana libera Chiesa in libero Stato riconfermava in qualche modo la distinzione tra i due enti, mentre tendeva a non riaprire una dolorosa pagina di lotta in un’Italia stanca e stremata. Furono così anche acquisiti al testo costituzionale i Patti Lateranensi del 1929 con il voto favorevole non solo dei democristiani, ma anche dei comunisti e delle destre. L’articolo precisa inoltre che le modificazioni dei suddetti Patti, “accettate dalle parti, non richiedono procedimenti di revisione costituzionale”. L’articolo 8 recita: “Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere dinanzi alla legge”: non sono eguali, dunque, ma egualmente libere, per il fatto che possono tutte essere liberamente professate e predicate sul territorio della Repubblica. La Chiesa Cattolica conserva in virtù dell’articolo 7 una posizione giuridica speciale, che, però, non limita la libertà fondamentale di culto che è uno dei principi insopprimibili di ogni libera società.

Art. 9 – “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica; così pure tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della Nazione”. Questo articolo fu ritenuto da taluni superfluo.

Art. 10 – La Repubblica inserisce il suo ordinamento giuridico nel diritto internazionale come pure tratterà lo straniero in conformità alle norme dei trattati internazionali. Concede inoltre il diritto d’asilo nel suo territorio allo straniero, “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”; come pure non concede l’estradizione per reati politici.

 

Art. 11 – Questo articolo nacque dal bisogno di temperare le esuberanze belliciste o nazionaliste che avevano caratterizzato vent’anni della nostra storia e della nostra politica internazionale.

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, e in caso di necessità, sempre per il trionfo della giustizia tra gli uomini, anche limitazione di sovranità; promuove e favorisce tutte quelle organizzazioni internazionali che sono rivolte alla conservazione della pace nel mondo.

Art. 12 – “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano”, quale fu adottato fin dal lontano 1797 e per tutto il Risorgimento: “verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.