3. GLI ORGANI COSTITUZIONALI DELLO STATO ITALIANO.
Intendiamo con tale espressione non tanto gli organi
previsti dalla Costituzione, che sono numerosi ed esercitano alle volte
soltanto o prevalentemente funzioni consultive o amministrative, ma quegli
organi che, pur previsti e regolamentati dalla Costituzione, sono preposti in
tutto o in parte dall'esercizio di
uno dei tradizionali poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) in
cui si concreta la sovranità popolare: quella sovranità che appunto trova negli
organi costituzionali le forme e i limiti in cui esercitarsi.
Ma tali forme e limiti derivano da una Costituzione votata
che il popolo ha dato a se stesso tramite i propri rappresentanti liberamente
eletti per cui si può giustamente parlare di autolimitazione della sovranità
popolare: il che conferma la usuale definizione della sovranità stessa come
potere d'impero originario ed esclusivo.
Ci occuperemo quindi distintamente degli organi
costituzionali esaminandoli nello stesso ordine in cui ce li presenta la
Costituzione e rilevando che anche la loro successione ha un significato logico
in quanto vuol stabilire oltre che una graduatoria d'importanza giuridica e
morale anche una specie di cammino ideale dell'attività dello Stato per il
raggiungimento dei fini che gli sono propri: esamineremo infatti in primo luogo
il PARLAMENTO, organo del potere legislativo da cui emanano le norme che danno
vita ed impulso a tutta l'azione statale; poi il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA,
che non essendo organo di alcun potere ha tuttavia compiti che ineriscono tutti
i poteri e si pone proprio come supremo regolatore e coordinatore tra i due
principali poteri, legislativo ed esecutivo; quindi il GOVERNO, organo del
potere esecutivo che attua la volontà del Parlamento e ne subisce il controllo,
quindi ancora la MAGISTRATURA, organo del potere giudiziario per l'applicazione
delle leggi ai casi concreti e l'amministrazione della giustizia; infine la CORTE COSTITUZIONALE, suprema
garanzia per i cittadini del rispetto da parte di tutti compreso gli organi
dello Stato, nelle norme costituzionali.
Per quanto riguarda il primo problema
prevalse la tesi dei sostenitori della repubblica parlamentare, con il
temperamento di cui l'art. 94 ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo e
l'instabilità dei governi; circa il secondo problema, pur nell'accanimento
della discussione, prevalse la tesi dei sostenitori della tesi bicamerale
(organo legislativo articolato in due diverse assemblee) su quella del sistema
unicamerale (organo legislativo formato da una sola assemblea) per la
considerazione che la seconda camera serve ad attuare il principio generalmente
accettato dall'equilibrio dell'organizzazione dello Stato, in quanto creando
come dei contrappesi degli organi costituzionali si evita che un solo organo
abbia poteri tali da poter attuare forme più o meno larvate di assolutismo; ed
infatti la concentrazione di tutto il potere legislativo in un solo organismo
avrebbe potuto dar vita ad un assolutismo democratico così come si era avuto
prima un assolutismo monarchico.
La stessa ragione
di equilibrio, assieme alla considerazione che non poteva essere menomato il
principio della sovranità popolare aveva fatto optare per una seconda camera
elettiva come la prima e con eguali poteri che però da essa si differenziasse
per composizione e sistema elettorale: il timore poi dei pericoli, da alcuni
paventati, di un possibile conflitto fra le due Camere su qualche disegno di
legge, fu facilmente dissipato dalle acute considerazioni dell'On. Mortati
secondo cui “[...] in regime parlamentare l'arbitro e il disciplinatore
dell'attività legislativa è il Governo, il quale dovendo curare il costante
mantenimento della fiducia da cui deriva la sua investitura troverà di volta in
volta il mezzo più adatto per soluzione delle divergenze: i dissidi possono
insorgere su questioni secondarie e allora il governo lascerà cadere, almeno
per il momento, il progetto su cui si manifesti l'opposizione di una Camera; ma
se il progetto è essenziale alla realizzazione della politica governativa,
allora il governo porrà su di esso la questione di fiducia. La fiducia
comporterà una crisi che dovrà risolversi o con le dimissioni del Governo o con
lo scioglimento di una o di entrambe le Camere". L'esperienza di 50
anni del funzionamento del Parlamento ha confermato quanto già si poteva
desumere da tutta la storia parlamentare italiana che cioè Camera e Senato in
tutti i casi di divergenza hanno sempre finito per accordarsi senza mai
giungere ad un vero e proprio conflitto.
Altro motivo di animata
discussione fu il nome da dare al Parlamento in seduta comune, volendo alcuni
dare vita ad una specie di organismo a se stante con propri poteri, con propria
presidenza e proprio regolamento, una specie di terza camera denominata
Assemblea Nazionale: ma la tesi da molti avversata non prevalse e si arrivò
così alla formulazione del secondo comma dell'art.55 secondo cui il Parlamento
si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi previsti
dalla Costituzione, mantenendo il nome di Parlamento e riunendosi sotto la
Presidenza e nella sede della Camera dei deputati.
I casi
espressamente previsti per le riunioni comuni delle due Camere del sono:
a) per l'elezione del
Presidente della Repubblica (art. 83);
b) per
porre il Presidente della Repubblica in stato di accusa per alto tradimento o
per attentato alla Costituzione (art. 90);
c) per
ricevere dal Presidente della Repubblica l'atto di giuramento di fedeltà alle
leggi dello Stato e di osservanza della Costituzione (art. 91);
d) per
porre in stato di accusa il Presidente del Consiglio dei Ministri o i singoli
ministri (art. 96);
e) per
eleggere un terzo dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura
(art. 104);
f) per
eleggere un terzo dei componenti della Corte Costituzionale o i 16 membri
aggiunti alla Corte stessa nei giudizi di accusa contro il Presidente della
Repubblica, il Presidente del Consiglio e i ministri (art. 135).
Come abbiamo
visto per mantenere il vantaggio del sistema bicamerale evitandone i danni occorreva
che le Camere, pur rimanendo entrambe elettive e rappresentative, fossero
diverse per composizione e sistema di elezione: vediamo ora da un breve
parallelo come ciò si sia raggiunto.
LA CAMERA DEI
DEPUTATI è eletta a suffragio universale e diretto ed è composta da 630
deputati ripartiti proporzionalmente, nel modo previsto nell'art. 56, tra le
circoscrizioni elettorali cui è diviso il territorio della Repubblica:
partecipano alle elezioni tutti i cittadini che abbiano compiuto il 18° anno di
età e non siano incorsi in alcune delle cause tassativamente previste dalla
legge per la privazione del diritto di voto e possono essere eletti tutti i
cittadini che nel giorno delle elezioni hanno compiuto il 25° anno di età. Ha
la durata di 5 anni, non può essere prorogata se non per legge e solo in caso
di guerra (art. 60) e può essere sciolta anticipatamente dal Presidente della
Repubblica (art. 88).
Nulla dice la
Costituzione circa il sistema elettorale da adottarsi per l'elezione della
Camera dei Deputati ed è bene aver lasciato alla legge ordinaria il compito di
determinarlo in relazione alle mutevoli esigenze nel tempo della società e dei
partiti che riflettono la volontà popolare.
IL SENATO DELLA
REPUBBLICA è eletto a suffragio universale e diretto su base regionale, cioè è
attribuito ad ogni regione, secondo quanto stabilisce l'art. 57, un numero di
Senatori proporzionale alla popolazione della regione stessa e in ogni caso non
inferiore a 7 tranne il Molise che ne ha 2 e la Valle d'Aosta che ne ha uno
solo.
La determinazione
del rapporto tra popolazione e numero di senatori fatta su base regionale
anziché nazionale, con un numero minimo assegnato ad ogni regione, ha voluto
costituire, secondo quanto disse il relatore Mortati, "[...] un
collegamento stabile e istituzionale fra l'ordinamento regionale ed il
Senato". Limitatissima deroga al principio elettivo, che non infirma
il carattere rappresentativo del Senato, costituisce l'art. 59 secondo cui sono
Senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti della Repubblica; inoltre il
Presidente della Repubblica ha la facoltà di nominare Senatore a vita 5
cittadini che abbiano acquisito particolari meriti nel campo sociale,
scientifico, artistico e letterario.
Alle elezioni del
Senato partecipano tutti i cittadini che abbiano compiuti il 21° anno di età,
mentre per essere eletti Senatori occorre aver compiuto il 40° anno: il più
elevato limite di età per l’elettorato attivo e passivo del Senato fa di questo
ramo del Parlamento un corpo più selezionato, composto di persone più mature
che offrono maggiore garanzia di preparazione e serietà nell'assolvimento dei
compiti costituzionali. La durata del Senato è fissata a 5 anni, ma anch'esso
può essere prorogato per legge solo in caso di guerra o sciolto anticipatamente
dal Capo dello Stato. I Senatori (315) sono eletti con il sistema del collegio
uninominale.
Nessuna
limitazione può essere apportata, se non per legge, all'elettorato attivo e
passivo: così può essere privato del godimento dei diritti politici chi ha
riportato condanne penali particolarmente gravi o è stato dichiarato fallito da
non più di 5 anni, mentre sono determinati dalla legge i casi di ineleggibilità
o di incompatibilità parlamentare, come quella tra membro del Parlamento e
Sindaco di Comune con più di 20.000 abitanti o Commissario del Governo presso
le Regioni o Comandante militare nella circoscrizione del proprio comando.
Alcuni casi di incompatibilità (i più importanti) sono tuttavia previsti dalla stessa
Costituzione come quelli di Deputato e Senatore (art. 65), tra membri del
Parlamento e Consigliere regionale (art. 122) o Giudice della Corte
Costituzionale (art. 135) o Membro del Consiglio Superiore della Magistratura
(art. 104) oltre, naturalmente l'incompatibilità assoluta tra l'ufficio di
Presidente della Repubblica e qualsiasi altra carica (art. 84) compresa quindi
quella di Deputato o Senatore.
All'infuori dei
casi previsti di seduta comune, Camera dei Deputati e Senato tengono
separatamente le proprie riunioni, ciascuna nella propria sede (rispettivamente
Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama), eleggendo ciascuna nel proprio seno il
proprio Presidente e l'ufficio di Presidenza ed adottando ciascuna il proprio
regolamento; inoltre ogni Camera, come prevede l'art. 66, giudica dei titoli di
ammissibilità dei suoi componenti, ossia compie la cosiddetta verifica dei
poteri e decide sui casi sopraggiunti di ineleggibilità e di
incompatibilità.
Le
sedute delle Camere sono pubbliche e ad esse può assistere chiunque, previo
rilascio del biglietto di invito da parte delle rispettive Segreterie: tuttavia
le stesse Camere possono deliberare in determinate circostanze o per
determinate discussioni di tenere seduta segreta. Per la validità delle
deliberazioni di ogni Camera è necessario che vi sia il numero legale
cioè che sia presente la maggioranza dei componenti (50%+1) e che nelle
votazioni sia riportata la maggioranza dei voti dei presenti, tranne i casi in
cui la Costituzione prevede una maggioranza speciale detta qualificata che
può essere la maggioranza assoluta dei componenti quando si tratta
dell'adozione del regolamento interno di ciascuna Camera (art. 64) o della
dichiarazione di urgenza di una legge (art. 73) o della messa in stato di
accusa del Presidente della Repubblica (art. 90) o infine dell'approvazione
delle leggi costituzionali (art. 138) e può essere quella di 2/3 quando si
tratta della elezione del Presidente della Repubblica (art. 83) o
dell'approvazione delle leggi costituzionali senza bisogno di referendum
(ultimo comma dell'art. 138).
Alle sedute delle
Camere hanno diritto di assistere i membri del Governo tanto se sono
contemporaneamente membri del Parlamento quanto se non lo sono (dal che si
desume che la Costituzione non pone nessun divieto per l'elezione a membro del
Governo di estranei al Parlamento); tale diritto diviene peraltro obbligo se la Camera richiede la presenza dei
componenti del Governo, i quali hanno pure il diritto di essere sentiti ogni
volta che lo richiedano.
I
membri del Parlamento rappresentano nell'esercizio delle loro funzioni l'intera
Nazione e non quel collegio elettorale o quel gruppo di elettori che ne ha
determinato l'elezione: è vero che essi si sono presentati alle elezioni
sostenendo un programma e un orientamento politico particolare, ma non sono
vincolati (se non sul piano morale) a quel programma e a quell'orientamento in
quanto la rappresentanza che esercitano ha una particolare configurazione
giuridica, diversa da quella esistente nel campo del diritto civile perciò
detta appunto politica. Lo dice chiaramente l'art. 67 “esercita le
sue funzioni senza vincolo di mandato”, cioè non è investita da parte degli
elettori di un mandato imperato che presupporrebbe la revocabilità del mandato
stesso e l'obbligo di uniformarsi all'incarico ricevuto non potendosi in ogni
caso, data la natura specifica, parlare di resa dei conti; il rappresentante
eletto deve sentirsi libero da vincoli, di interessi o di categoria, per mirare
unicamente all'interesse del Paese ed esercitare le proprie funzioni secondo i
dettami della propria coscienza.
Ad assicurare
libertà ed indipendenza all'esercizio delle funzioni parlamentari mirano anche
le disposizioni dell'art. 68 che tratta le cosiddette immunità per le
quali nessun membro del Parlamento può essere perseguito per le opinioni
espresse e i voti dati, né può essere sottoposto a procedimento penale senza
autorizzazione della Camera cui appartiene (a tal fine in ogni Camera vi è una
apposita Commissione per la concessione delle autorizzazioni a procedere), né
può essere arrestato o comunque privato della libertà personale o perquisito,
se non nel caso in cui sia sorpreso in fragranza di reato per cui sia
obbligatorio il mandato di cattura: l'autorizzazione della Camera di appartenenza
è necessaria anche quando si debba procedere all'arresto di un Deputato o
Senatore per l'esecuzione di una sentenza di condanna anche irrevocabile emessa
prima della elezione.
Nei primi
parlamenti europei (così era anche secondo lo Statuto Albertino) non era
concessa alcuna indennità di retribuzione ai componenti e ciò rendeva difficile
l'accesso a questi Organi rappresentativi di elementi provenienti dalle classi
medie o più umili, a parte anche l'esistenza del suffragio ristretto: ma
l'introduzione del suffragio universale, la necessità di assicurare a tutti,
anche ai nullatenenti, la possibilità effettiva e non solo teorica di entrare a
far parte del Parlamento, dedicando all'attività parlamentare ogni propria
energia senza preoccupazioni di carattere economico, ha consigliato gli Stati
moderni (e così ha fatto anche la nostra Costituzione con l'art. 69) a
stabilire per i membri del Parlamento una indennità nella misura fissata dalla
legge originaria.
Si tratta di una
indennità e non di uno stipendio o retribuzione ed è per questo che non fu
accolta la proposta formulata dall'Assemblea Costituente di stabilire una
misura più alta per coloro che non abbiano altri renditi: "[...] è una
indennità a rimborso spese ‑ disse l'On. Ruini - ne deriva logicamente
che deve essere conferita indipendentemente la situazione finanziaria di coloro
cui è attribuita". Compito principale del Parlamento è quello di
discutere ed approvare le leggi, tanto quelle costituzionali che quelle
ordinarie. Ma questo è un discorso troppo vasto che esula dagli scopi del
nostro lavoro.
Esaminiamo
qui, invece, gli altri compiti del Parlamento che sono il controllo politico e
amministrativo‑finanziario sull'operato del Governo, il potere d'inchiesta e il
concorso della formazione degli altri organi costituzionali.
IL CONTROLLO POLITICO del Parlamento sull'organo esecutivo è
costante e di fondamentale importanza per l'avverarsi del principio democratico
secondo cui democrazia è governo del popolo per il popolo: esso accompagna tutto
il cammino del Governo dal suo sorgere al suo termine e si attua mediante il
voto di fiducia, l'interrogazione, l'interpellanza e la mozione, che sono
istituti con i quali il Parlamento avvia, per cosi dire, l'opera del governo,
la segue nel suo svolgimento, la convalida e vi pone termine. Infatti, il primo
atto che un governo, formato dopo le elezioni o in seguito ad una precedente
crisi ministeriale deve compiere è quello di presentarsi al Parlamento, esporre
il proprio programma d’azione e chiederne la fiducia: ottenutala da ciascuna
delle Camere con votazione per appello nominale come prescrive l’art. 94 il
Governo può mettersi all'opera, altrimenti deve rassegnare le dimissioni prima
ancora di iniziare la propria attività.
Notevole il
valore politico e morale della prescrizione dell'appello nominale nel voto di
fiducia perché tende ad eliminare il fenomeno cosiddetto dei franchi
tiratori, cioè di coloro che nel segreto dell'urna votano anche in modo
difforme dalla linea del Partito al quale appartengono e costringe ogni membro
del Parlamento ad assumere le proprie responsabilità a viso aperto dando anche
al Presidente della Repubblica la possibilità di trarre da una votazione
negativa utili indicazioni per la formazione del nuovo governo.
Con L'INTERROGAZIONE
ogni membro del Parlamento isolatamente o assieme ad altri può rivolgere
domande al Governo per conoscere l'esattezza di un fatto o un'informazione o di
un provvedimento che sia stato adottato o debba esserlo: è una semplice
richiesta di notizie alla quale risponde a voce o per iscritto, secondo il
desiderio dell'interrogante, il Ministro o sottosegretario competente.
Più
importante, perché implica un giudizio di merito sull'operato del Governo, è
l'INTERPELLANZA che consiste anch'essa in una richiesta rivolta da uno o più
parlamentari per conoscere i motivi che hanno indotto il Governo a comportarsi
in un determinato modo o ad assumere o non assumere un determinato
atteggiamento: riguarda un campo limitato e non gli aspetti generali della politica
governativa e si pone come forma intermedia tra l'interrogazione e la mozione.
La MOZIONE infine
è un invito al Governo a comportarsi in un determinato modo e viene presentata
da uno o più deputati o senatori al fine di provocare un'ampia discussione generale
sulla politica governativa che si conclude con un voto. Le più importanti tra
le mozioni sono quelle che riguardano la concessione della fiducia o della
sfiducia al Governo, perché ne determinano la sorte con la permanenza in carica
o le dimissioni: particolari cautele atte ad assicurare la serenità sia per la
presentazione che per la discussione sono previste dall'ultimo comma dell’art.
94 per le mozioni di sfiducia, le quali debbono recare la firme di almeno 1/10
dei componenti della Camera in cui sono presentate (63 Deputati o 31 Senatori)
e non possono essere discusse prima di tre giorni dalla presentazione
evidentemente per dar modo al Governo di prepararsi e non essere colto alla
sprovvista.
Il CONTROLLO AMMINISTRATIVO‑FINANZIARIO sul governo viene
effettuato mediante la discussione e l'approvazione dei bilanci e del
rendiconto consuntivo dello Stato che il Governo deve presentare entro il 31
gennaio di ogni anno e che il Parlamento deve approvare entro il 30 giugno, in
quanto il 1° luglio ha inizio il nuovo anno finanziario: solo in caso di
assoluta impossibilità il Governo può essere autorizzato all'esercizio
provvisorio con apposita legge e per non più di quattro mesi, come prescrive
l’art. 81. Si tratta di un atto formalmente legislativo perché si concreta con
l'approvazione di una legge che viene poi regolarmente promulgata e pubblicata,
ma in sostanza è un mero atto amministrativo di controllo finanziario che il
potere legislativo esercita sull'esecutivo, in quanto non fa sorgere nei cittadini
alcun nuovo diritto o alcun nuovo obbligo: è atto tuttavia di estrema
importanza perché attraverso di esso il Parlamento esamina e controlla tutta la
politica del Governo e lo dimostra l'interesse dei parlamentari ed il tempo che
tale discussione impiega occupando quasi interamente l'attività parlamentare
dal mese di febbraio a quello di giugno e molto spesso, con il ricorso
all'esercizio provvisorio fino al mese di ottobre. La serietà, la profondità,
l'interesse con cui si svolge la discussione sui bilanci è certamente, per un
Parlamento, il miglior indice della sua maturità politica e sensibilità per i
problemi della Nazione.
Il POTERE DI DISPORRE INCHIESTE su materie di pubblico
interesse deriva al Parlamento dall’art. 82 e costituisce un mezzo a disposizione
per il potere legislativo per accertare direttamente fatti e raccogliere
elementi e dati per formulate proposte di legge, come pure per svolgere
indagini di carattere giudiziario al fine anche di porre in stato di accusa il
Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio o i singoli Ministri
secondo i già citati artt. 90 e 96: tali inchieste vengono svolte da apposite
commissioni nominate dalla Camera che ha deliberato l'inchiesta stessa, o dalle
due Camere congiuntamente (se entrambe le Camere hanno deliberato l'inchiesta
sulla medesima materia), sono composte da un numero di parlamentari tali da
rispecchiare la proporzione tra i vari gruppi ed hanno gli stessi poteri e le
stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
Infine il
Parlamento concorre a formare altri organi costituzionali, primo fra tutti ad
eleggere il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ed è anche questo compito di vitale
importanza in regime democratico perché fa discendere della volontà popolare
espressa dai rappresentanti in Parlamento la formazione di tutti gli organi
dello Stato realizzando ancora una volta la formula dal popolo per il popolo.